Il nostro Paese è uno dei più globalizzati ed innovativi al mondo e attrae sempre più lavoratori e ditte straniere sul proprio territorio. Ed è sintomatico che spesso proprio queste ultime, di dimensione anche importante, respiro internazionale, attive nel settore terziario e con un grosso potenziale di crescita dimostrano di avere poca affinità col nostro sistema di formazione professionale duale.

Dall’altra parte troviamo quel due terzi dei giovani svizzeri (in Ticino sono poco meno della metà) che decide di intraprendere un apprendistato. Già a 15 anni i ragazzi sono integrati nel mondo del lavoro, sono confrontati con responsabilità tangibili, devono dimostrare quotidianamente disciplina e senso del dovere così come sapere coniugare la scuola col lavoro.

In una fotografia molto sommaria e semplificata della formazione professionale e delle sue complesse ripercussioni emerge quindi il fatto che spesso i desideri dei giovani lavoratori non coincidono con le aspettative delle aziende e viceversa. Due cifre su tutte: ogni anno in Svizzera circa 20’000 posti di apprendistato (per lo più nel settore secondario) rimangono inoccupati e una cifra altrettanto alta di ragazzi non optano né per una scuola a tempo pieno, né per una formazione professionale duale. Questi giovani si trovano de facto in una lista d’attesa. Questi dati, che sono raddoppiati nel corso degli ultimi 20 anni, devono farci riflettere. Perché avviene questo  mismatch? Quali accorgimenti sono necessari per cercare di correggere questa situazione?

Fortunatamente viviamo in una società liberale dove non viene imposta nessun tipo di scelta, ma in questo caso, vista la premessa della stipulazione di un contratto tra due contendenti, l’unica soluzione praticabile è quella di creare incentivi tramite riforme del sistema formativo per venire incontro alle richieste dell’una e dell’altra parte. Avenir Suisse nel suo studio pubblicato alla fine dell’anno scorso propone quindi tra le varie cose di rendere più attrattivo l’apprendistato. Come? Per esempio aumentando le ore impartite di nozioni di base (come le lingue o il calcolo applicato). Secondariamente riducendo e rendendo più snelli i profili professionali in modo che gli apprendisti risultino più flessibili e adattabili a diverse realtà lavorative. E in terzo luogo aumentando i corsi extrascolastici (che fungono da “trait d’union” tra la teoria e la pratica) coordinati dai partner sociali così che vengano ancorate in modo ancora più chiaro le responsabilità tripartite della formazione professionale tra datore di lavoro, scuola e organizzazioni professionali.

L’apprendistato è un fiore all’occhiello del nostro sistema formativo, economico e sociale e va quindi preservato. Non vi è però dubbio che esso è palesemente sottoposto a forti scosse e mutazioni e per questo necessita di una certa flessibilità e spirito riformatore. Grazie a delle formazioni professionali più dinamiche si arriverebbe ad aumentare il livello di attrazione tra i datori di lavoro e i potenziali apprendisti.

Quest'articolo è apparso nella newsletter di «Boss Lavoro» del mese di marzo 2011.