I cittadini di Zurigo hanno approvato a larga maggioranza nel 2008 l’obiettivo di una società a 2 000 Watt. L’attuazione di una tale visione si annuncia alquanto difficile, come dimostra il rifiuto da parte degli elettori dei cantoni di Berna, Neuchâtel e Friburgo di proposte energetiche più vincolanti. I fautori di un cambiamento radicale non mollano però presa. Così, recentemente la Città di Zurigo ha pubblicato uno studio favorevole alla «sufficienza ecologica». Secondo i principi della sufficienza, i limiti dello sviluppo sono già raggiunti e bisogna ripiegare su consumi contenuti e uno stile di vita più schietto. Nell’ambito cittadino, la sufficienza si materializza in visioni urbanistiche miranti a ridurre drasticamente il consumo di energia e di terreni: lo studio menziona una riduzione del 30% della superficie abitativa pro capite.

Anche ridurre i consumi costa

Una tale moderazione del consumo di superfici abitabili ridurrebbe senza dubbio l’impiego di energia. Tuttavia, ne conseguirebbe anche una perdita elevata di benessere alla quale i fautori della sufficienza ecologica quasi mai accennano. Gli affitti elevati nelle città svizzere dimostrano che gli abitanti sono disposti a pagare molto per l’alloggio. La rinuncia a una parte della superficie abitativa avrebbe dunque un costo elevato – un cosiddetto costo di opportunità. Questi costi sono difficilmente quantificabili, eppure sono ben reali. A Zurigo la disponibilità a pagare per affittare un metro quadro aggiuntivo di superficie abitativa è superiore ai 300 Fr. all’anno. Una riduzione del consumo di superficie abitativa anche solo del 10% per economia domestica (ovvero una media di 6 m2 in meno) provocherebbe un costo di opportunità pari a circa 3 miliardi di franchi.

Anche l’effetto incentivante di affitti alti e terreni più cari è ignorato da chi prona la sufficienza. L’aumento dei prezzi incita a limitare la domanda di alloggi e a utilizzare in modo accorto queste risorse limitate. Così l’affermazione degli autori dello studio che, proprio nella cara Zurigo, manchino gli incentivi limitanti il consumo di superfici abitative sembra completamente assurda.

Prima ridurre le distorsioni del mercato, poi tassare

Dalla nostra critica sulla sufficienza ecologica non segue che lo Stato debba astenersi da qualsiasi intervento. L’obiettivo deve però essere quello del miglior consumo, non del consumo minimo. L’attenzione deve essere dapprima rivolta alla correzione delle conseguenze involontarie di politiche ben intenzionate. L’espansione a tappeto della rete autostradale e le abbondanti sovvenzioni dei mezzi pubblici sono cause importanti dell’espansione urbana. Il modello d’insediamento disperso e il pendolarismo sono responsabili per una domanda crescente di mobilità. Tutto ciò obbliga comuni e cantoni periferici a impegnarsi politicamente per ricevere investimenti supplementari in infrastrutture varie, a prescindere dai costi per l’ambiente e il territorio.

Il consumo di energia causa meno emissioni, e la crescita della ricchezza è meno energeticamente intensiva.

Nel trasporto pubblico le tariffe e la loro struttura incoraggiano lo spreco. Ad esempio, l’abbonamento generale riduce a zero il costo marginale di una corsa. La deducibilità fiscale dei costi di pendolarismo spinge un numero sempre maggiore di persone a stabilirsi in aree più lontane dal proprio posto di lavoro.

Quale è però la vera portata di questi effetti? Gli shock petroliferi degli anni 1970 forniscono informazioni utili sulla probabile reazione da parte delle economie domestiche all’aumento dei prezzi dell’energia. Gli economisti urbani concordano sul fatto che l’allora rapida triplicazione dei prezzi della benzina non abbia spinto molte famiglie verso i centri urbani. Al contrario, gli anni 1970 sono stati teatro di una vera e propria fuga dal centro verso la periferia.

Se la verità dei costi nella mobilità e nel consumo di energia non bastasse a limitare consumi e emissioni di CO2 ad un livello tollerabile, una tassa globale sull’energia (benzina compresa) potrebbe essere una misura efficace. Una simile tassa costringe chi inquina ad assumersi i costi delle proprie azioni. Al contrario dell’astinenza organizzata, qui sono considerati anche i costi di aggiustamento: chi è in grado di adattarsi facilmente alle nuove condizioni lo farà.

Una crescita verde

Rinunce e astinenza sono, in definitiva, controproducenti anche dal punto di vista della politica ambientale poiché non tengono conto dei contributi positivi della crescita economica per l’ambiente. Grazie al progresso tecnologico, nel nostro paese abbiamo disgiunto crescita economica e consumo di energia. Così, in Svizzera, il valore di beni e servizi prodotti è di un terzo superiore rispetto a 25 anni fa, mentre le emissioni di CO2 sono rimaste al palo (vedi grafico).

Più crescita vuole anche dire più costruzione edilizia. Spesso le nuove costruzioni s’iscrivono in un processo di addensamento urbano che va tutto a vantaggio dell’ambiente. Uno studio per il canton Zurigo dimostra che l’impatto della densità urbana sugli indici climatici è addirittura maggiore della qualità energetica degli immobili. Per esempio, l’addensamento delle superfici costruite nel cantone Zurigo al (basso) livello della città di Winterthur porterebbe – senza risanamenti energetici degli edifici – a una riduzione delle emissioni di CO2 del 20%. Una riforma delle leggi e regolamenti di costruzione che ostacolano la concentrazione urbana – come già richiesto nel 2007 da Avenir Suisse nella pubblicazione «Städtische Dichte» (Densità urbana) – sarebbe dunque più efficace che maldestre limitazioni della superficie abitativa pro capite.

Chi vuole affrontare le sfide ambientali globali con una diminuzione dei consumi ha una visione pessimistica della società. La sufficienza ecologica sottovaluta l’influenza del progresso tecnologico e della prosperità materiale sulla qualità di vita. Che quest’ultima sia aumentata nelle città lo testimonia anche l’aumento dei prezzi degli immobili e la migrazione verso i centri urbani. Per risolvere i problemi climatici, la limitazione del potenziale d’innovazione delle nostre società liberali e urbane non sarà certo di aiuto.

Questo articolo è stato pubblicato su «TEC21 / Tracés» 06/2013.