Da sinistra a destra tutti condividono l’importanza di questo strumento popolare. Divergenti sono invece i correttivi emersi nel dibattito a più voci ospitato dall’USI.

L’importanza e l’efficacia dell’iniziativa popolare nell’attuale contesto elvetico sono state al centro della conferenza «Democrazia diretta da correggere?», organizzata dal Laboratorio per l’Argomentazione nei Contesti della Pubblica Sfera (LACoPS) dell’USI in collaborazione con il Corriere del Ticino, che si è tenuta ieri a Lugano.

A partire dalla sua introduzione, avvenuta nel 1891, l’iniziativa popolare costituzionale ha permesso agli attori della società civile di far sentire la propria voce ed essere coinvolti nel processo di modifica della Costituzione. Questo importante strumento della democrazia diretta svizzera, tuttavia, sembra oggi aver perso parte della propria forza. «Questa capacità di discutere su temi concreti è stata parzialmente svuotata del suo significato. Spesso, infatti, sono proposte iniziative estremamente radicali, che hanno scarse probabilità di essere accettate in votazione; il loro scopo non è un’effettiva modifica costituzionale, bensì l’espressione di un messaggio all’interno di una campagna elettorale», ha spiegato Tibère Adler, direttore della sezione Romanda di Avenir Suisse. Altre criticità dell’iniziativa popolare nella sua forma attuale sono, secondo Adler, la soglia troppo bassa delle firme da raccogliere (pari a centomila) per lanciare un’iniziativa popolare e il potenziale conflitto delle norme proposte con il diritto internazionale. È anche possibile che, tramite questo strumento, siano rimessi in discussione diritti o principi fondamentali del diritto, quali ad esempio la proporzionalità. Adler ha dunque presentato alcuni suggerimenti per migliorare l’efficacia dell’iniziativa popolare; in particolare, si propone un esame più rigido dei criteri di ammissibilità (unità di forma e di materia, rispetto del diritto internazionale imperativo). Il numero di firme necessarie dovrebbe inoltre essere pari al 4% degli aventi diritto al voto. La legge di attuazione di un’iniziativa accettata in votazione popolare dovrebbe inoltre essere sottoposta a referendum obbligatorio, per evitare che ne venga stravolto l’intento originario. Sarebbe inoltre opportuno introdurre l’iniziativa legislativa a livello federale, al fine di salvaguardare la stabilità della Costituzione Federale.
«Questo importante strumento deve senza dubbio essere difeso», ha esordito Pietro Martinelli, già consigliere di Stato socialista; tuttavia, «la democrazia moderna prevede sì di dare il potere al popolo, ma nel quadro di un regime costituzionale». Dal momento che in Svizzera non esiste una corte costituzionale, infatti, esiste il pericolo che gli articoli inseriti nella Costituzione federale in seguito all’approvazione di un’iniziativa popolare siano in contraddizione con articoli costituzionali preesistenti. È inoltre importante indagare su quali siano le cause delle attuali debolezze della democrazia diretta elvetica, cause che Martinelli identifica primariamente nel dispiegarsi incontrollato della globalizzazione a partire dagli anni ’90.

Paolo Pamini, deputato al Gran Consiglio ticinese per la Destra, concorda nell’affermare che il problema fondamentale non riguardi la democrazia diretta in sé, quanto piuttosto il tema generale del ruolo dello Stato e della sua estensione. Storicamente, sono state tentate diverse vie per porre un freno allo Stato, quali ad esempio la divisione dei poteri oppure il costituzionalismo. La democrazia diretta costituisce la risposta elvetica alla questione, tuttavia non rappresenta la soluzione più efficace. Secondo Pamini, infatti, «il successo dell’esperimento elvetico risiede nella concorrenza istituzionale tra i Cantoni e tra i Comuni e in una struttura di potere decentrata». Contrariamente ad Adler, Pamini afferma che il numero minimo di firme necessario dovrebbe essere diminuito, al fine di aumentare l’accesso alla partecipazione democratica. L’iniziativa popolare, infatti, benché possa necessitare di correttivi, ha effetti benefici non trascurabili, quali la promozione del civismo e la creazione di una cultura consociativa.

Questo articolo è apparso sul "Corriere del Ticino" del 2 giugno 2015.