La Svizzera ha una tradizione di accoglienza più che centenaria. La rottura di tendenza del 2002 ha considerevolmente favorito l’immigrazione proveniente dallo spazio europeo. Questi nuovi migranti contribuiscono alla prosperità elvetica. Tuttavia, nuove difficoltà e inquietudini hanno fatto la loro apparizione in alcuni settori: immobiliare, mercato del lavoro, istituti sociali e integrazione nella società.

Un serio problema si pone nelle montagne svizzere: all’inizio dell’estate, quando il bestiame è condotto agli alpeggi, mungitori, pastori e vaccari mancano in modo impressionante. In questi luoghi isolati il lavoro è penoso, le giornate interminabili e il salario piuttosto magro. Ecco perché in occasione dell’ultima transumanza, troppi uomini hanno pensato che l’erba fosse più verde altrove. Allora siamo stati ben contenti che Tedeschi, Austriaci, Italiani e altri Polacchi venissero a dare man forte alla popolazione alpestre. Senza questa manodopera estera gli Alpi svizzeri non sarebbero più gestiti.

Questa costatazione locale vale anche per tutta l’economia nazionale. Da oltre un secolo gli stranieri contribuiscono in larga parte a fare della Svizzera una piazza industriale e universitaria. Alla fine del XIX ° secolo, erano gli operai italiani che venivano in gran numero a perforare le grandi gallerie delle nostre montagne. E sono lavoratori, industriali e artigiani tedeschi che hanno segnato la vita economica e culturale del giovane Stato elvetico dal 1850 (citiamo Heinrich Nestlè e Georg Wander, Walter Boveri e Rudolf Diesel, Georg B(ichner o anche Richard Wagner). Fin verso la fine del XIX° secolo, la Svizzera è stata un paese d’emigrazione classica. Allora i giovani partivano a migliaia alla scoperta del mondo, dirigendosi principalmente verso l’America del Nord e del Sud. Il censimento del 1880 ha marcato un rovesciamento di tendenza: la Svizzera era diventata un paese d’immigrazione. Secondo l’ex ambasciatore svizzero Alfred Defago, «la Svizzera è con la Francia il paese che ha la tradizione di accoglienza più lunga d’Europa».

Alcune cifre

Ecco i principali dati concernenti la migrazione in Svizzera: fino al 2009 la popolazione residente permanente in Svizzera contava 7,78 milioni di persone, di cui 1,71 milioni di stranieri, ossia quasi il 22%. Questo rappresenta in totale 84000 individui, ossia 1’1,1% in più dell’anno precedente (nel 2008 questo aumento aveva raggiunto perfinol’1,4%). Questi livelli di crescita sono nettamente superiori a quelli registrati nel resto dell’Europa. Estrapolandoli si arriva a un raddoppio del numero di abitanti ogni 50/60 anni. Ma ciò che importa è il saldo migratorio, cioè la differenza fra l’immigrazione e l’emigrazione. Nel 2009 si contavano 160’600 immigrati contro 86’000 emigranti, il che dà un saldo migratorio positivo di 74600 persone. Recentemente la Svizzera ha accolto 79’000 residenti di lunga durata; l’anno scorso erano perfino 103000, il che equivale al numero di abitanti di Winterthur. Il saldo migratorio della popolazione residente straniera è positivo dal 1979.

Per quanto concerne i cittadini svizzeri, si contavano l’anno scorso 4400 emigranti in più rispetto alle persone che sono tornate nel paese. Il saldo migratorio degli Svizzeri è negativo dal 1992. Nel 2009, 22400 Svizzeri all’estero sono tornati a risiedere nel loro paese d’origine, per ragioni economiche soprattutto. Alla fine dell’anno scorso, 684’974 cittadini svizzeri risiedevano &l’estero, di cui il 76,5% in Europa dell’Ovest e in America del Nord.

Un po’ di storia

Torniamo alcuni decenni indietro per rivedere gli episodi rilevanti della politica svizzera in materia di migrazione. Dopo la Seconda Guerra mondiale e fino agli anni sessanta, la solida crescita economica ha comportato un deficit di manodopera. Un gran numero di lavoratori stagionali, di origine italiana in maggioranza, sono venuti in Svizzera per periodi di nove mesi. Alla fine degli anni cinquanta il raggruppamento delle famiglie fu facilitato. La quota della popolazione residente estera è passata dal 6% nel 1950 al 13,6% nel 1963. Una crescente paura dello straniero è allora apparsa e l’iniziativa Schwarzenbach «contro la sovrappopolazione estera» è stata respinta di misura nel 1970. Da allora e fino agli anni novanta l’immigrazione è soprattutto stata controllata attraverso il contingentamento. Pertanto la popolazione di stranieri è continuata a crescere (gli stagionali sono diventati residenti annuali e il raggruppamento delle famiglie è stato facilitato).

All’inizio degli anni novanta il modello delle tre cerchie ha segnato una svolta nella politica di migrazione, ponendo l’accento sull’origine degli immigrati: i lavoratori reclutati prioritariamente (cerchia interna) in seno agli Stati membri dell’Unione europea (UE) o dell’Associazione europea di libero scambio (AELS), poi in Australia, in Canada, in Nuova Zelanda e negli Stati Uniti (seconda cerchia) e infine in tutti gli altri paesi (terza cerchia). L’obiettivo era di privilegiare l’entrata di persone provenienti dalla prima cerchia ed eventualmente dalla seconda, a sfavore della terza. Alla fine degli anni novanta questo modello è stato sostituito dal sistema binario di reclutamento che conosciamo attualmente. Gli Accordi bilaterali I con l’UE sono all’origine della libera circolazione delle persone nello spazio europeo di allora (15 Stati membri dell’UE e paesi dell’AELS), ma anche di una posizione ancora più restrittiva nei confronti di tutti gli altri paesi. Questa nuova politica tende ad attirare una manodopera qualificata per rispondere ai bisogni economici. Nel 2005 il popolo svizzero ha accettato l’estensione dell’accordo ai dieci nuovi Stati membri dell’UE, prima di accettare nel 2009 il rinnovo dell’accordo sulla libera circolazione delle persone con l’UE e il protocollo di estensione di questo accordo alla Bulgaria e alla Romania.

Rottura di tendenza in materia d’immigrazione

Retrospettivamente, l’anno 2002 ha rappresentato una vera e propria rottura di tendenza. A partire da questo momento l’immigrazione dallo spazio europeo si è fortemente accelerata, frenando nel contempo l’afflusso di immigranti dagli altri paesi. Dal 2006, 6000 cittadini europei immigrano in media ogni mese in Svizzera e questa cifra non è diminuita durante gli anni della recessione. «La Svizzera ha perso il controllo delle sue frontiere. Il suo margine di manovra sulla politica nei confronti degli stranieri è ormai inesistente», ha scritto il redattore capo della «Weltwoche». E’ vero? Contingenti sono stati applicati ai quindici «vecchi» Stati membri dell’UE fino a metà del 2007 e queste restrizioni rimangono in vigore per gli 8 «nuovi» paesi membri fino al 2011 (vedere in seguito per Bulgaria e Romania). D’altro canto i diplomatici svizzeri hanno negoziato a Bruxelles l’applicazione fino al 2014 di una clausola di protezione particolare «nel caso di un aumento massiccio dell’immigrazione», clausola che permetterebbe l’introduzione di nuovi contingenti. Ciò si applica anche a tutti gli immigrati provenienti dall’UE e dall’AELS: ha il diritto di restare nella Confederazione soltanto colui che è in grado di giustificare un contratto di lavoro con un’impresa svizzera.

Una cosa è fondamentalmente cambiata dall’entrata in vigore della libera circolazione delle persone in Europa: oggi il 70% degli immigrati provengono dall’Unione europea e il 60% di tutti i nuovi arrivati sono titolari di un diploma di scuola superiore (due volte di più che gli Svizzeri stessi). L’Ufficio federale delle migrazioni conferma questa nuova tendenza: «Dal 2002 la maggioranza della manodopera che viene in Svizzera è qualificata e molto qualificata». L’arrivo di persone titolari di un titolo universitario (scientifici, medici, professori), di tecnici e di ingegneri nonché di altri quadri dirigenti di aziende è un fatto notevole. «Grazie al loro profilo, ormai altamente qualificato, gli immigranti coprono i bisogni dell’economia», constata il Credit Suisse in uno studio.

Contributo alla prosperità del paese

Nel dibattito attorno all’accoglienza degli stranieri, gli opinion maker di ogni tipo (sia di sinistra, di destra, progressisti o conservatori) sono unanimi nel riconoscere che attualmente i lavoratori stranieri hanno largamente contribufto alla prosperità del paese. In precedenza gli immigranti venivano dal sud per occupare posti di lavoro non graditi agli Svizzeri (nel settore della costruzione, dell’agricoltura, dell’industria e della ristorazione). Oggi i nuovi immigranti, originari dal nord e dall’ovest, contendono posti di responsabilità nel mondo economico e scientifico che corrispondono al loro alto grado di qualifiche. «Se vogliamo mantenere le nostre prestazioni economiche, avremo bisogno di sempre più manodopera estera in futuro», ha dichiarato Francis Matthey, ex uomo politico del PS e presidente in funzione della Commissione federale per le questioni di migrazione. «Se si considera il tasso di natalità, l’evoluzione demografica e la penuria di professionisti specializzati, l’immigrazione proveniente dall’Unione europea è indispensabile per la Svizzera», ha detto la consigliera federale Doris Leuthard. «La piazza economica svizzera ha bisogno di conoscenze e di idee. L’immigrazione ha permesso al paese di raggiungere un livello di prestazioni inimmaginabile con il suo proprio capitale umano», si può leggere nella rivista specializzata «Der Arbeitsmarkt». Secondo Boris Aircher del gruppo di riflessione neoliberale Avenir Suisse, il paese conta fra i più cosmopoliti al mondo. «Grazie alla sua apertura ai fattori di produzione che sono il lavoro e il capitale, la Svizzera mostra una performance che la sua manodopera locale non potrebbe realizzare da sola».

Beat Hotz-Hart, professore all’Università di Zurigo, considera che la Svizzera presenta attualmente un «grado d’internazionalizzazione eccezionalmente elevato» nell’ambito universitario, nonché nella ricerca e nello sviluppo, nei posti di direzione e nei consigli d’amministrazione delle aziende. La rete mondiale che si sta così tessendo è un «vantaggio considerevole in termini di concorrenza su livello planetario». La forte internazionalizzazione dei membri del management delle società svizzere è stata oggetto di uno studio condotto da esperti della Guido Schilling SA presso 121 imprese che contano il maggior numero di collaboratori: in Svizzera il 44% dei quadri dirigenti è straniero, di cui il 31% è tedesco (43% se si considerano i CEO) seguiti sempre più da vicino dagli Americani e dai Britannici.

Nuovi problemi, nuovi timori

Se l’immigrazione è una fonte di benessere, essa comporta anche un carico di timori e di difficoltà. Sul mercato dell’alloggio, i numerosi immigrati sono confrontati con una mancanza di posti, che ha ripercussioni sul prezzo degli alloggi da acquistare o da affittare. Secondo i consulenti immobiliari Wiiest & Partner, negli ultimi quattro anni l’arrivo di manodopera estera è stato il principale motore della costruzione di alloggi.

«In taluni luoghi molto in vista della regione di Ginevra o di Zurigo, il mercato è impazzito». Per le ville di lusso soprattutto i prezzi sono saliti vertiginosamente «completamente sconnessi con la realtà». Se le imprese di costruzione e le agenzie immobiliari locali si fregano le mani davanti a questa manna, gli abitanti non vedono di buon occhio questa situazione. «La penuria di alloggi e la salita dei prezzi accentuano la pressione economica esercitata sulle fasce socialmente sfavorite, il che rinforza il rischio di povertà attorno alle grandi città», afferma lo studio «Immigrazione 2030» della Banca cantonale di Zurigo.

I nuovi immigranti, generalmente molto qualificati, sostituiscono la popolazione attiva locale (con o senza passaporto svizzero)? «Non stiamo assistendo a una sostituzione della manodopera locale», ha affermato Serge Gaillard, direttore della Segreteria di Stato all’economia. E la rivista specializzata «Der Arbeitsmarkt» conferma: «Contrariamente ai timori, i lavoratori immigrati non scacciano globalmente tutti gli Svizzeri sul mercato del lavoro»; al limite la classe media sarebbe toccata in una certa misura. Gli specialisti in ricerche congiunturali ammettono che la disoccupazione non aumenta o aumenta molto poco sotto l’effetto dei flussi migratori: gli immigrati sono certamente lavoratori, ma anche consumatori e locatari e, in questo senso, stimolano la crescita delreconomia domestica e la creazione di posti di lavoro.

Ma qual è l’influsso sui salari? Le conclusioni del Segretariato di Stato, competente a Palazzo federale, sono le seguenti: non si deplora nessuna riduzione di salario presso gli attivi che dispongono di redditi modesti e medi. Per il personale altamente qualificato l’immigrazione ha un effetto frenante sui salari, nettamente più marcato per gli stranieri che per gli Svizzeri. Perché la pressione sui salari non si fa sentire maggiormente? Le «misure d’accompagnamento» della libera circolazione delle persone in Europa hanno i loro effetti: esse permettono il rispetto delle condizioni svizzere in materia di salari e di lavoro in tutti i settori e tutte le regioni del paese.

Quali conseguenze per le istituzioni sociali?

Gli immigrati sono un fardello o una boccata d’ossigeno per le nostre istituzioni sociali e lo Stato? II 42% dei disoccupati sono stranieri, il 44% dei beneficiari dell’aiuto sociale sono pure stranieri (60% se si contano i naturalizzati) e il 37% delle persone che ricevono rendite dell’assicurazione invalidità sono stranieri.

La loro rappresentanza della popolazione residente è però del 22%. L’ex sorvegliante dei prezzi Rudolf Strahm cita come principale causa di questi trasferimenti sociali «le lacune in materia d’integrazione degli stranieri e di formazione professionale». Quest’ultimo punto sarebbe alla base della disoccupazione e della percezione di prestazioni dell’aiuto sociale e delle assicurazioni sociali.

Gli oneri sociali attuali si iscrivono pure in un contesto storico: fino al 2002 gli stagionali dell’Europa del Sud, poi dei Balcani in maggioranza non erano qualificati. La Svizzera è andata a cercarli poiché rappresentavano una manodopera a buon mercato, come conferma Alain du Bois-Reymond, direttore dell’Ufficio federale delle migrazioni: «L’importante proporzione di stranieri che beneficiano dell’assicurazione disoccupazione e invalidità è l’erede del tempo degli stagionali». Nella Commissione federale per le questioni delle migrazioni, Francis Matthey propone altre ragioni: la popolazione straniera è più giovane e meno ben formata, numerosi immigrati lavorano in settori particolarmente esposti al rischio d’invalidità e nei settori strettamente dipendenti dalla congiuntura.

Al contrario, la migrazione è anche un beneficio per le istituzioni sociali: Grazie all’immigrazione di numerosi lavoratori giovani il rapporto tra attivi e beneficiari di rendite migliora dal punto di vista delle assicurazioni vecchiaia e invalidità. Così gli immigrati contribuiscono al finanziamento dell’AVS e dell’Al, secondo la «Neue archer Zeitung». Soltanto per l’AVS, quasi il 20% di tutti i contributi salariali provengono da cittadini europei che percepiscono però soltanto il 15% delle prestazioni. Ricordiamo di transenna che in Svizzera il diritto a una rendita AVS completa nasce dopo 44 anni di contribuzioni, quindi colui che ha lavorato soltanto un anno da noi riceve soltanto un 1/44 della somma totale.

Restano tuttavia alcune questioni in sospeso, come sottolinea uno studio: perché il 10% dei Turchi tra i 30 e i 39 anni percepiscono una rendita Al contro soltanto il 2% degli Svizzeri? Perché un terzo dei Turchi o ex-Jugoslavi beneficiano di un pensionamento anticipato tra i 50 e i 59 anni attraverso l’assicurazione sociale contro -soltanto il 9% degli Svizzeri? È giusto che, per esempio, un Tedesco percepisca pienamente le indennità di disoccupazione dopo un solo giorno di lavoro, col pretesto che ha versato sufficientemente a lungo l’assicurazione sociale del suo paese d’origine?

Studi scientifici si interessano al saldo dei trasferimenti netti, cioè alla differenza fra quanto gli stranieri versano alle assicurazioni sociali e quanto percepiscono in prestazioni sociali. Essi tengono generalmente conto dei loro contributi fiscali e del fatto che un altro Stato ha finanziato la loro formazione. In uno studio approfondito sull’immigrazione, la Banca cantonale di Zurigo giunge a un saldo positivo (cioè più di contributi versati che di prestazioni percepite) per tutte le persone in età lavorativa (tanto Svizzeri quanto stranieri). Questo saldo è di poco inferiore per le persone con un passaporto estero che per gli Svizzeri, ciò che si spiega a causa del reddito più modesto degli stranieri. In altri termini, se si tiene conto delle imposte, gli immigrati sono «redditizi» per lo Stato.

Integrazione e naturalizzazione

«Volevamo braccia e sono arrivati uomini». La celebre frase dello scrittore Max Frisch nel 1965 concerne l’integrazione sociale della manodopera estera nella nostra società. Si può affermare senza ombra di dubbio che, dagli anni 70, la Svizzera con il suo grande numero di stranieri ha provato che aveva una capacità d’integrazione impressionante. Da un mezzo secolo, gli ambienti nazionalistici e conservatori non hanno cessato di attizzare il fuoco politico con la questione degli stranieri. La destra non vuole riconoscere che la Svizzera è una terra d’accoglienza e vuole l’assimilazione invece dell’integrazione. La sinistra idealizza spesso il multiculturalismo in maniera ingenua e trascura i problemi quotidiani del vivere insieme (per esempio nelle scuole).

L’integrazione di nuove élite straniere non pone problemi: esse hanno le loro proprie reti, vivono in comunità, parlano inglese e mandano i loro figli nelle scuole internazionali. Ma è incontestabile che rimane ancora molto da fare per «permettere alla popolazione straniera di disporre delle stesse chances della popolazione svizzera per quanto attiene alla partecipazione alla vita economica, sociale e culturale» (lo dice il Consiglio federale). «Sì, la popolazione ha paura dell’invasione degli stranieri», ha confermato Corine Mauch, sindaco della città di Zurigo. Per questo «è assolutamente cruciale condurre una politica d’integrazione attiva».

Il grado ultimo d’integrazione è la naturalizzazione, cioè l’ottenimento della cittadinanza svizzera. Ogni persona domiciliata da oltre dodici anni in Svizzera può inoltrare una domanda d’autorizzazione federale alla natu ralizzazione. La Confederazione deve allora rispondere a soltanto due domande: il candidato rispetta l’ordine giuridico? Costituisce un rischio per la sicurezza? Essa lascia poi ai cantoni e ai comuni l’esame di altri criteri come la conoscenza degli usi e costumi locali, la reputazione, la comprensione linguistica e la responsabilità finanziaria.

Se 8658 naturalizzazioni sono state pronunciate nel 1990 e 28’700 dieci anni più tardi, questa cifra è esplosa nel corso degli ultimi cinque anni, passando a 46’711 nel 2006. Nel 2009, 43’440 uomini e donne hanno ottenuto la cittadinanza svizzera, la maggioranza proveniva dai Balcani, dall’Italia e dalla Germania. La procedura di naturalizzazione in Svizzera rimane rigida se confrontata con altri paesi. Ciò non impedisce alla destra di chiedere rigidità supplementari: nessun passaporto svizzero per i disoccupati o chi è iscritto nel casellario giudiziario (può succedere per aver bruciato un semaforo rosso).

Dimensione culturale

Lo scorso ottobre il Premio del libro tedesco è stato attribuito a Melinda Nadj Abonji durante la Fiera del libro di Francoforte. Nel mese di novembre, la premiata ha pure ottenuto il Premio svizzero del libro. La scrittrice di 42 anni è originaria di Senta in Voivodina, provincia autonoma ungherese della Serbia e vive a Zurigo con la sua famiglia. Il suo romanzo premiato «Tauben fliegen auf» (letteralmente «Le colombe si involano») racconta la storia di una famiglia che ha lasciato la Voivodina all’inizio degli anni settanta per istallarsi in Svizzera. L’anno scorso il Premio svizzero del libro è stato attribuito a Ilma Rakusa, autrice dalle radici sloveno-ungheresi per la sua autobiografia «Mehr Meer» che descrive poeticamente l’osservazione di un primo arrivo in una nuova patria.

«Durante gli ultimi decenni, la letteratura tedesca è stata sostenuta dagli immigrati e dai secondos», scrive il critico letterario Manfred Papst. L’immigrazione riveste non soltanto una dimensione economica e sociale, ma anche, per fortuna per il nostro paese, una iiimensione culturale.

Questo articolo è apparso su «Gazzetta Svizzera» del 1. febbraio 2011.