Daniela Lepori aprendo la serata ha ricordato come gli eventi di Avenir Suisse in Ticino prendano sempre ispirazione dalle pubblicazioni del think tank zurighese: questa volta al centro dell’approfondimento è il ceto medio. Per onor di cronaca le edizioni passate sono state dedicate al futuro del servizio pubblico: nei trasporti durante la prima edizione e nei media nella seconda. A seguire Marco Salvi ha presentato i risultati più importanti emersi dal recente libro “Der strapazierte Mittelstand” riassunti anche nel pamphlet in lingua italiana “Il ceto medio sotto pressione”. Nonostante gli importanti effetti della globalizzazione il 60% della popolazione svizzera, appunto il ceto medio, sta bene, anche molto bene se gettiamo uno sguardo oltre i nostri confini. Le due definizioni in uso per classificare il ceto medio sono quelle di un’economia domestica formata da 2 persone che ha a disposizione annualmente dai 67’000 ai 150’000 franchi o che si trova tra il 70 e il 150% di distanza dal reddito mediano. Il ceto medio ha comunque perso un po’ terreno rispetto agli strati sociali inferiori e superiori visto che questi vantano una crescita dei redditi annuali lordi più marcata rispetto al corrispettivo al centro della società. Salvi ha passato in rassegna diversi grafici che indicano come lo Stato intervenga sui cittadini con imposte non coordinate che spesso vanno a minare gli incentivi al lavoro, soprattutto per le donne. Inoltre ha pure ricordato come una qualifica intermedia, come per esempio un apprendistato, oggi non basta più per assicurarsi un posto nel ceto medio.

Attorno alla tavola rotonda che ha seguito la presentazione hanno preso posto il direttore della Camera di Commercio Ticinese Luca Albertoni, il Professore della SUPSI Christian Marazzi, il direttore di Caritas-Ticino Roby Noris e lo stesso Marco Salvi. La moderazione è stata affidata al vicedirettore del Corriere del Ticino Lino Terlizzi. Alla luce dei dati presentati, Albertoni si dice preoccupato per l’indebolimento dell’incentivo alla prestazione e quindi alla produttività, fatto percepibile anche “sul terreno” e non solo nelle statistiche.  Il direttore della CC-TI auspica uno Stato sociale trasparente ed efficiente e che i vari ceti dialoghino tra di loro nel segno della coesione, importante valore liberale. Anche Christian Marazzi vede un ceto medio in trasformazione, addirittura in crisi, così come una società svizzera che assume ora una forma di clessidra, quando un tempo rappresentava chiaramente una mongolfiera. Le mutate condizioni di lavoro a causa della pressione sui salari, del precariato correlati ai tagli allo Stato sociale rappresenterebbero un mix letale per il ceto medio. La classe media è rancorosa ed è affetta dalla “sindrome del penultimo”: prima aspirava a salire, ora ha il terrore a scendere. Roby Noris dal canto suo, ha a che fare giornalmente con persone che aspirano ad un posto nel ceto medio e ricorda pure lui dalla sua prospettiva, come in Svizzera non si stia bene, ma benissimo. Secondo Noris l’interazione tra i vari segmenti della società è importantissima: il ceto più basso è tanto importante come quello alto perché se uno strato sociale ha grosse difficoltà ne subiamo tutti le conseguenze. Noris costata una trasformazione già avvenuta del ceto medio, ora esso si trova in una fase di assestamento. Il problema più grosso secondo il direttore di Caritas-Ticino non è il reddito ma l’esclusione sociale, fenomeno che rende praticamente impossibile lo scopo finale di rendere tutti dei soggetti economici produttivi.

In conclusione Marco Salvi si augura che non venga attuata una politica specifica per il ceto medio ma che lo Stato eroghi prestazioni in modo mirato ed efficace.