Che il rincaro del franco abbia creato più di un grattacapo alle aziende svizzere è noto. Perciò non stupisce che si usi spesso e volentieri l’espressione “soglia del dolore”: così è stato anche nelle prime fasi della rivalutazione del franco. “Per diversi settori dell’economia d’esportazione, la soglia del dolore del tasso di cambio con l’euro si fissa a CHF 1.50” si poteva leggere il 27 marzo 2002 in un’agenzia dell’ATS. Col senno di poi è invece evidente che il rafforzamento dell’euro tra il 2004 e il 2007 e il parallelo indebolimento del franco causarono un esagerato aumento delle esportazioni svizzere. Nel febbraio 2010 un esponente di spicco del settore delle esportazioni dichiarava sulla NZZ: “può far male se l’euro dovesse crollare per diverse settimane sotto la soglia dell’1 e 40”. Nei mesi seguenti non si sono notarono però sviluppi tragici benché le pressioni a margine fossero senza dubbio aumentate. Questi esempi dimostrano che dichiarazioni seppur pertinenti circa la “soglia del dolore” non sono da prendere come oro colato. Esse suonano piuttosto come dei campanelli d’allarme, sia per la Banca nazionale che per la politica; si basano più su impressioni soggettive che non sull’effettiva forza del franco. D’altra parte è illusorio credere che vi sia un unico rapporto fisso fra tasso di cambio e esportazioni valevole per tutti i settori: le aziende sono troppo diverse le une dalle altre, persino nello stesso ramo di attività, per poter trovare
una formula univoca. Quale misura scegliere allora per analizzare in modo serio la situazione? Qui spicca – in aggiunta alle tradizionali statistiche a breve termine – un concetto fondamentale: l’elasticità del tasso di cambio. Dietro a questo termine si nasconde un’idea semplice, e cioè che lo sviluppo delle esportazioni svizzere dipende sia dal prezzo dei beni esportati che dall’andamento economico dell’estero.

La ripresa all’estero passa dalla Svizzera
Diversi studi empirici dimostrano come sul lungo periodo l’elasticità delle esportazioni svizzere rispetto all’attività economica all’estero sia importante. Queste ultime approfittano quindi in modo più che proporzionale di una buona congiuntura nei nostri mercati d’esportazione. Si stima infatti che un aumento del PIL dei mercati esteri di un punto percentuale si traduca in un’espansione del due percento delle nostre esportazioni. La crescita più che proporzionale riflette non da ultimo il rapido aumento delle attività commerciali a livello mondiale e la buona integrazione delle imprese svizzere nell’economia globale. Più complesso risulta invece calcolare l’impatto della competitività delle esportazioni. Essa dipende dallo sviluppo dei prezzi e dei costi in Svizzera rispetto a una media ponderata dei Paesi in cui esportiamo. A seconda del modello utilizzato (sulla base di indicatori dei prezzi al consumo, dei prezzi della produzione o del costo del lavoro), del livello di aggregazione (economia totale o settoriale) e del periodo considerato si trovano risultati diversi. Il KOF, l’osservatorio congiunturale presso il Politecnico federale di Zurigo stima che un aumento dei prezzi relativi delle nostre esportazioni all’estero di un punto percentuale porti ad una diminuzione delle esportazioni tra il – 0,2 e il – 0,6 percento. A dipendenza del settore e del Paese l’impatto sarà più o meno elevato.

Un buon mix di industrie per il mercato mondiale
Nonostante l’incertezza sull’importanza della competitività dei prezzi vi sono forti indicazioni che le esportazioni svizzere, sia nel corso del tempo sia nel confronto tra economie, sono diventate più resistenti alle fluttuazioni di cambio. Tuttavia le differenze, anche tra settori, sono tendenzialmente aumentate. L’industria chimicofarmaceutico riesce quindi a digerire le rivalutazioni del franco più facilmente dell’industria metalmeccanica ed elettronica, di quella tessile o del turismo. Se si ricompone il puzzle per formare un quadro complessivo, si può dire che l’economia svizzera, produttrice di beni di marca e di prestigio, frutto di un intenso lavoro di ricerca e sviluppo, presenta un buon mix di industrie nel mercato mondiale. Siccome l’elasticità della domanda estera ha un effetto di ben cinque volte superiore rispetto a quello del tasso di cambio, l’economia svizzera ha beneficiato fino ad ora della ripresa congiunturale nei Paesi esportatori, soprattutto in Germania.

Le previsioni rimangono difficili
Anche se i diversi studi empirici sulla competitività dei prezzi forniscono importanti informazioni, non possono venir presi come un barometro troppo preciso per il futuro perché in tali studi vengono sempre utilizzati dati ex-post. È quindi difficile anticipare le reazioni delle aziende allo shock attuale. Permarrà la buona resistenza dell’economia di esportazione o – di pari passo con la forza persistente del franco – andrà scemando la capacità di adattamento? Come già ha mostrato il nostro paper dello scorso febbraio la situazione è complessa e non solo per la Banca nazionale.
Tratto dal documento: Der (zu) harte Franken di Gerhard Schwarz, Alois Bischofberger, Rudolf Walser, Boris Zarcher, Martin Wermelinger e Markus Schk. Scaricabile da www.avenir-suisse.ch

Articolo tratto da Ticino Business del mese di ottobre 2011