Durante la campagna per le elezioni cantonali una cifra è riecheggiata nelle nostri menti: 45 000. Un esercito di 45 000 persone varca giornalmente i nostri confini ci ruberebbe il lavoro, secondo alcuni candidati. 45 000 è una cifra che vista così, nuda e cruda, fa impressione. Ma anche una cifra che occorre valutare coscienziosamente su basi scientifiche e non solo per mezzo di «Bauchgefühle» o singoli casi.

L’IRE (Istituto Ricerche Economiche dell’USI) su mandato della Commissione Tripartita Cantonale ha realizzato lo studio «disoccupazione e frontalierato nel Cantone Ticino». La prima conclusione a cui giungono gli esperti: vi è stata un’evoluzione importante nel mercato del lavoro ticinese. Stiamo progredendo quindi, avanti così!

Seconda conclusione: Il numero di frontalieri segue l’andamento economico del nostro Cantone. Leggi: il numero di frontalieri si adatta ai nostri bisogni. Ottimo, cosa si vuole di più?

Terza conclusione: non è provato scientificamente che sia possibile una sostituzione sistematica tra lavoratori frontalieri e disoccupati. Voilà, i «topini italiani» vengono quindi a riempire i buchi che vi sono nel «formaggio ticinese».

Occorre quindi avere fiducia, in primis nei nostri imprenditori: che agiscano con coscienza nel momento di reclutare personale (indigeno). Secondariamente nelle autorità competenti che vigilino in modo serio sulla situazione del nostro mercato del lavoro soprattutto del commercio. In terzo luogo fiducia nei ticinesi che dimostrino dinamismo e flessibilità nel mercato del lavoro. In poche parole: abbiamo bisogno dei frontalieri, essi apportano un contributo tangibile e fondamentale all’economia del nostro Cantone.