«Questa iniziativa popolare arriva proprio al momento buono», ha scritto l’Udc nel suo comunicato emesso ieri. Il motivo, dice, è che il Consiglio federale «rifiuta di applicare le iniziative popolari accettate», vuole «scalzare i diritti democratici» e ritiene di dover «rendere conto alle organizzazioni statuali internazionali ed al diritto internazionale, piuttosto che al suo stesso popolo».

A prescindere, però, da queste argomentazioni che servono a supportare la propaganda dell’Udc a favore della propria iniziativa, è un fatto che negli ultimi tempi si stanno moltiplicando i segnali, provenienti dagli ambienti politici, nel senso di una riforma del governo federale.

Il 2008 e il 2009 sono stati anni in cui la crisi dei rapporti con la Libia e le controversie sorte intorno al segreto bancario hanno mostrato con estrema evidenza quanto sia necessario, e per alcuni ormai urgente, dare alla Svizzera una forte guida politica.

Proprio ieri sera è stato presentato a Zurigo il libro «Konkordanz in der Krise» che Michael Hermann, specialista di geografia politica all’Università di Zurigo, ha scritto su incarico di Avenir Suisse (il gruppo di riflessione sullo sviluppo della società e dell’economia della Svizzera). In esso l’autore sostiene che occorre «rivitalizzare invece di sopprimere». Ovvero, poiché il sistema svizzero di governo è un modello di successo, anche se è andato in crisi dopo l’ascesa dell’Udc e l’indebolimento dei partiti tradizionali come il Plr e il Ppd, basta rivitalizzarlo con tre riforme concrete per renderlo più efficiente.

Invece di insistere, come fa l’Udc, con la proposta di elezione del Consiglio federale da parte del popolo, che comporta diversi inconvenienti, primo fra tutti l’aumento della concorrenza politica, Hermann propone soluzioni alternative che «dinamizzano» il processo di scelta dei membri dell’esecutivo senza stravolgere il sistema.

Secondo lui, abbandonare la democrazia della concordanza per una democrazia della concorrenza non sarebbe una buona opzione per la Svizzera. Poiché le istituzioni e la cultura politiche di un Paese non possono essere rimodellate facilmente, abbandonare la concordanza porterebbe a soluzioni destinate non a riunire i punti forti, ma a rafforzare i punti deboli. Insomma, quello che in italiano si chiama un salto nel buio.

La prima riforma alternativa proposta da Hermann è il voto di fiducia popolare. Una debolezza del sistema svizzero di concordanza è che il governo non è mai confrontato con un’elezione, né diretta né indiretta. Allora, per superare gli inconvenienti di un’elezione popolare diretta dell’esecutivo, si potrebbe introdurre un voto di fiducia popolare al quale ogni consigliere federale, alla fine di ogni legislatura, dovrà sottoporsi se vorrà restare in carica.

I consiglieri federali che ricevono la fiducia della maggioranza dei votanti sono automaticamente rieletti, gli altri dovranno passare dall’Assemblea federale per essere riconfermati. In questo modo non ci sarebbe una campagna elettorale che produce conflittualità tra i membri del governo, ogni ministro riceverebbe una sorta di legittimazione popolare e il Parlamento conserverebbe tutto il suo potere di elezione del Consiglio federale.

La seconda idea di Hermann è la creazione di un dipartimento presidenziale, con un presidente federale a tempo pieno, che darebbe continuità alle relazioni estere della Confederazione.

Il Consiglio federale continuerebbe ad essere un organo collegiale e il presidente rimarrebbe un «primus inter pares», pur esercitando, pro tempore e su determinate tematiche, i poteri di un capo di governo. Infine, la terza riforma sarebbe quella di superare i blocchi che si creano in Parlamento a causa della polarizzazione, il cui effetto è sovente la bocciatura di riforme importanti (come, per esempio, 111esima revisione dell’Avs). Il rimedio sarebbe il referendum obbligatorio sui progetti di legge che non trovano l’accordo del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati.

Ma più sorprendente di ogni altra idea è, al momento, la simpatia che a sinistra sta raccogliendo la proposta Udc di elezione popolare del governo. Uno che non ha mai nascosto tale simpatia è il consigliere di Stato vodese Pierre-Yves Maillard, del Ps.

Un altro è il consigliere nazionale, anche lui vodese, Josef Zisyadis, de «La Gauche», una cui iniziativa parlamentare, sottoscritta a sinistra soltanto dal suo collega ecologista zurighese Bastien Girod, naufragò nel 2009. Altri, come il socialista zurighese Daniel Jositsch, si domandano «perché no?», oppure dicono che sarebbe un «interessante esperimento», o che voterebbero di sì se ci fosse più trasparenza nel finanziamento delle campagne elettorali. Maillard pensa persino che «Blocher avrebbe avuto meno chance davanti al popolo che in Parlamento ».

Questo articolo è apparso su «La Regione Ticino» del 8. luglio 2011.