Oggi vi è generalmente un largo consenso nell’attribuire note eccellenti alla politica dei trasporti svizzera. Le prese di posizione più critiche vengono sistematicamente categorizzate come lobbying. L’attuale politica viene anzi spesso citata quale modello di successo da estendere ad altri Paesi, ritenuti ancora in via di sviluppo da un punto di vista (ferro)viario. A supporto di questa tesi si evocano sovente le cifre crescenti degli utenti della ferrovia e dei mezzi pubblici in generale, che attestano alla Svizzera una posizione di primo piano. In effetti se si considera l’evoluzione degli ultimi 15 anni, praticamente nessuno può competere in tema di sviluppo della rete dei trasporti.

Uno sguardo oltre i confini ci mostra però che le politiche dei nostri vicini non ricalcano le nostre e, sempre di più, si differenziano dalla strategia elvetica. Dobbiamo così perlomeno chiederci se la politica dei trasporti svizzera non debba autoesaminarsi o se invece soddisfi già ogni necessita. Un confronto tra l’approccio elvetico e quello europeo ci dà alcuni spunti per rispondere a questa domanda che per molti addetti ai lavori appare superflua.

Due politiche agli antipodi

Con l’introduzione della Tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni (TTPCP) e l’approvazione da parte del popolo del Fondo per il finanziamento dei grandi progetti ferroviari nel 1998, sono state gettate le basi per il finanziamento dei grandi progetti infrastrutturali elvetici. Tra questi progetti spicca su tutti Ferrovia 2000 – accettata in votazione popolare nel 1987 – che prevedeva in una prima tappa un credito quadro di 5,4 miliardi di franchi, successivamente superato. Il principio alla base dell’opera si riassumeva con «più frequente, più veloce e più comodo» e integrava 130 progetti che miravano ad aumentare la raggiungibilità interna con il treno. Ferrovia 2000 è stata all’origine di collegamenti più frequenti ed una riduzione importante dei tempi di spostamento tra le grandi città elvetiche. Parallelamente la raggiungibilità delle regioni periferiche è stata notevolmente incrementata.

Anche l’Europa è stata teatro di un’importante evoluzione da un punto di vista ferroviario; la relativa politica poggia però su convinzioni che si situano agli antipodi rispetto a quelle elvetiche: numerosi Paesi hanno costruito linee ad alta velocità che sono oggi in grado di competere sulle distanze medie con il trasporto aereo. La strategia europea fa parte di un disegno preciso: il sovraffollamento dello spazio aereo comporta regolarmente ritardi per persone e merci. Questo implica sprechi di carburante, inquinamento atmosferico e perdite di tempo. L’aumento della competitività ferroviaria grazie all’ampliamento della rete ad alta velocità è stato eretto così quale obiettivo centrale delle autorità europee. Lo sviluppo di questa rete negli ultimi anni ha incrementato le capacità anche sulle linee medio-lunghe, rafforzando ulteriormente la competitività della ferrovia nei confronti dell’aereo.

Due filosofie a confronto

Gli sviluppi diametralmente opposti che caratterizzano la rete ferroviaria europea e quella svizzera sono l’espressione di filosofie diverse. Quella alla base di Ferrovia 2000 e riproposta nei progetti di Ferrovia 2030 tende ad un’ottimizzazione dei collegamenti pubblici all’interno della Svizzera. Uno scopo senz’altro nobile, contro il quale però uno studio del BAK di Basilea ha intonato già nel 2004 una voce fuori dal coro: «AlpTransit o Ferrovia 2000 aumentano l’accessibilità interna; tuttavia le piazze economiche di Berna o di Zurigo non ne beneficiano molto se i viaggiatori impiegano 30 minuti in meno per raggiungere Briga o Bellinzona quando occorrono invece sei ore per raggiungere Monaco, Parigi o Francoforte.»

Per quali motivi la Svizzera trascura le evoluzioni europee e non cerca di sintonizzarsi su obiettivi comuni a quelli dei propri vicini? Negli ultimi anni i collegamenti interni sono massicciamente migliorati e sono oggi ad un livello qualitativo e quantitativo molto elevato: da qui la presunzione di essere i migliori della classe. Tuttavia i fondi non bastano per fare tutto e l’integrazione nella rete europea, che l’Europa stava e sta costruendo in parallelo, è stata tralasciata. Per la NZZ, questa evoluzione – che si delinea da numerosi anni, indica che «le FFS stanno manovrando in fuorigioco nel contesto dei trasporti europei ad alta velocità » (NZZ, 2002).

I rischi della via solitaria

Le differenti strategie alla base delle politiche di Svizzera ed Europa perseguono due obiettivi diversi, condivisibili entrambi. Dal momento che la nostra piccola nazione si contraddistingue per un’impostazione completamente diversa rispetto a quella dei grandi Paesi circostanti, occorre però porsi alcune domande relative ai rischi e alle conseguenze della strategia «solitaria» perseguita dalla Svizzera. Il futuro incerto dei trasporti aerei europei, in particolare quello delle compagnie low-cost – e considerati i prezzi al rialzo del cherosene – mette infatti seriamente in discussione il collegamento della Svizzera all’Europa. Sullo sfondo di una situazione che potrebbe farsi scomoda sotto il profilo della raggiungibilità delle grandi città elvetiche, il BAK di Basilea traccia un primo bilancio: «Negli ultimi anni il traffico ferroviario internazionale tra la Svizzera e l’estero ha perso continuamente terreno. Il collegamento ai Paesi confinanti è peggiorato (…). Nessuna metropoli in Europa è collegata peggio di Zurigo alla rete ad alta velocità».

Collegamento o integrazione?

Eppure, se si vanno a snocciolare i preventivi dei progetti ferroviari elvetici, si potranno notare alcune voci riguardanti i collegamenti internazionali. Effettivamente sono previsti collegamenti tra la rete ferroviaria interna elvetica e la rete ad alta velocità europea. Tuttavia, la sola dimensione finanziaria di questi ultimi permette di farsi un’idea sulla serietà delle intenzioni. Infatti per le differenti tappe di Ferrovia 2000 – dunque per incrementare la raggiungibilità interna – sono stati preventivati 21 miliardi di franchi, mentre solo 1,2 miliardi sono stati previsti per i collegamenti internazionali (corrispondenti al 5% dell’importo, la metà di quanto previsto per i ripari fonici).

Il punto centrale è però un altro. I collegamenti transfrontalieri per allacciarsi alla rete europea e ridurre così i tempi di viaggio verso alcune grandi città non sono di fatto linee ad alta velocità. I treni che sfrecciano in Francia, Germania o Italia possono raggiungere velocità di oltre 230-250 km/h, mentre in Svizzera essi non possono generalmente superare i 160 km/h. In questo modo le autorità europee non hanno nessun incentivo ad integrare la Svizzera nella propria rete ad alta velocità, considerato il fatto che la Confederazione intende solamente «collegarsi ». «Dal momento che l’integrazione nelle reti europee non viene perseguita dalla Svizzera, le regioni elvetiche rischiano letteralmente di perdere il treno» (BAK 2004).

Le basi su cui si sviluppano i progetti di Ferrovia 2000 e Ferrovia 2030 non sono – soprattutto dal punto di vista finanziario – conciliabili con un’integrazione nella rete europea che prevede – al contrario dei timidi approcci elvetici in materia – una rete adibita esclusivamente a treni ad alta velocità. La cadenza oraria (o semioraria) fino nelle regioni più discoste del Paese aumenta costantemente la frequenza dei collegamenti interni e si riferisce a un modello orientato alla distribuzione e alla domanda. Dal punto di vista dell’efficienza questo approccio resta perlomeno discutibile.

L’Europa che non ci vuole

La Svizzera si ritrova così quale isola in un’Europa che progetta e costruisce tappa dopo tappa il proprio sistema di trasporti, come è possibile notare dai progetti relativi alle reti transnazionali europee (TEN-T) che tralasciano, o meglio aggirano, la nostra nazione.

Questo però – alla luce di quanto esposto – non deve sorprendere più di quel tanto. Soltanto se la Svizzera si impegnasse veramente ad integrarsi – e non solo a collegarsi – nella rete ad alta velocità, essa potrebbe pretendere dai Paesi confinanti un interesse viario nei nostri confronti. Questo però, per una chiara scelta politica, non è il caso. Le conseguenze rischiano – in un futuro più o meno lontano – di gravare seriamente sull’attrattiva della piazza economica svizzera. «Dal momento che il collegamento internazionale e l’accessibilità della piazza economica svizzera sono strettamente interdipendenti, gli svantaggi si ripercuotono sull’intera economia» (BAK 2004). Una vera e propria integrazione nella rete europea richiede linee ad alta velocità che attraversano la Svizzera da est a ovest e da nord a sud. Il finanziamento di questa integrazione andrebbe assicurato insieme agli Stati confinanti che – premessa la volontà svizzera di integrarsi nella rete europea – avrebbero probabilmente a loro volta un interesse in tal senso.

L’esempio dell’AlpTransit

La politica dei trasporti è politica internazionale

Le argomentazioni esposte in occasione di questo approfondimento mostrano con una certa evidenza che la politica estera di una nazione – trasversale ai diversi Dipartimenti – si presenta in diversi ambiti della politica dei trasporti. La non considerazione degli obiettivi (ferro)viari perseguiti dai Paesi circostanti rischia di relegare la Svizzera in una posizione di debolezza che penalizza in particolare le grandi città e la piazza economica. La mancata attenzione verso i Paesi vicini da parte della politica si riflette fedelmente nel mancato collegamento della trasversale alpina del San Gottardo a sud di Lugano. Le importanti somme investite nell’ambito del progetto di AlpTransit sono state concentrate sulla costruzione dei due trafori di base del Lötschberg e del San Gottardo. Il progetto però non prevede al momento – incluse le intenzioni presentate nell’ambito di Ferrovia 2030 – uno sfogo a sud di Lugano dell’asse del San Gottardo. Gli importanti investimenti finora effettuati non bastano così ai Paesi vicini, in particolare all’Italia per preoccuparsi di collegare la propria rete alla nostra. La mancata attenzione delle nostre autorità per le esigenze viarie estere penalizza in ultima analisi proprio il nostro sistema di trasporto – in particolare per quanto riguarda le merci – che non potrà così sfruttare le capacità per le quali è stato costruito e si sono spesi parecchi miliardi di franchi. Di esempi ve ne sarebbero diversi altri.

Quest'articolo è apparso sul «Corriere del Ticino» del 23 maggio 2011.