In un’era come la nostra, globalizzata e soprattutto digitalizzata, dove l’informazione è fluida e facilmente reperibile grazie anche a quella piazza virtuale che è Facebook, quali equilibri si vanno creando fra media pubblici e privati? Questo è stato il tema della conferenza svoltasi ieri all’hotel Bellevue au Lac di Lugano e organizzata da Avenir suisse, un incontro in due momenti, il primo monodirezionale e il secondo più performativo, con diversi attori, tra cui soprattutto il direttore della RSI Dino Balestra e Filippo Lombardi, di TeleTicino, che hanno imbastito un vivace dibattito su senso e futuro delle loro emittenti. Ma quali sono le peculiarità della televisione pubblica e che caratteristiche ha invece quella privata? I relatori della prima sessione hanno illustrato pregi e difetti di entrambe. Se la televisione pubblica è nata con un nobile scopo educativo, come ha fatto notare Giuseppe Richeri (professore ordinario di scienze della comunicazione all’USI), è anche vero quello che ha sottolineato il direttore generale del gruppo TImedia, Marcello Foa, ovvero che i media (tutti, nessuno escluso) tendono a imitarsi, e quindi se ne deduce che anche il pubblico sia spinto ad orientarsi verso l’audience più che verso la qualità, con un generale depauperamento del giornalismo in generale. «Quando ci siamo proposti, in Ticino si parlava di berlusconismo e ci si aspettava da TeleTicino una proposta televisiva tutta vallette e programmini, ma abbiamo fatto altre scelte, che, detto francamente, a livello finanziario pagano meno» ha fatto presente Lombardi, che ha subito punzecchiato Dino Balestra sul tema della raccolta della pubblicità on line, vero nodo della guerra fredda fra le due emittenti. «Una televisione pubblica ha precisi doveri, ovvero deve essere universale ed equidistante rispetto al dibattito politico, ed ha costi alti. Il bus deve essere pagato anche se fa corse senza passeggeri» ha ribattuto il direttore della RSI. Il punto nodale è che il pressing effettuato da altri partner, ben più potenti di quelli ticinesi, come Google, rischia di fare fuori i due concorrenti, mentre si fanno le scarpe: questa la riflessione del moderatore del dibattito, Davide Gai, accolta in buona sostanza da entrambi i direttori. «Va bene, allora si crei non dico un cartello, ma un pool, che dia spazio anche a noi privati» ha concluso Lombardi. Una  soluzione che piace, almeno così è parso, anche a Dino Balestra. Presente anche il direttore di Ticino Management, unico portavoce della stampa, almeno in apparenza più tranquillo sul fronte dei nuovi media. «La Svizzera è un Paese particolare (con regole diverse dalla Germania e da altri Stati, ndr) e la nostra stampa è di ottima qualità; molta pubblicità ancora si rivolge al cartaceo e non bada a Internet». È un fatto che i giovani cercano l’informazione, buona o cattiva che sia, soprattutto on line; e di fronte a questo fenomeno, il giornalismo, come ha fatto notare Foa, ha bisogno di «spirito pionieristico». E di coraggio.

Articolo tratto dal Corriere del Ticino del 24 novembre 2001.