«Di quanta Europa ha bisogno la Svizzera?»: (da sinistra) Andreas Müller, il Segretario di Stato del DFAE Yves Rossier e Gerhard Schwarz a colloquio.

In questi ultimi tempi le relazioni fra la Svizzera e l’Unione Europea sono tornate ad occupare le prime pagine dei giornali. In un colloquio serale presso Avenir Suisse, Yves Rossier, Segretario di Stato del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), ha spiegato le ragioni del rinnovato sostegno alla via bilaterale da parte del Consiglio federale e la necessità di risolvere le questioni istituzionali. L’aspetto più controverso è la procedura di adozione delle nuove leggi e la scelta dell’istanza o dell’autorità competente per risolvere future controversie fra la Svizzera e l’UE a riguardo dell’applicazione dei trattati. A colloquio con il direttore di Avenir Suisse Gerhard Schwarz e il vicedirettore Andreas Müller, Rossier ha sottolineato che i rapporti fra la Svizzera e l’UE sono nel complesso buoni. L’accordo sull’energia è infatti l’unico bisogno urgente da parte della Svizzera. Nel contenzioso fiscale con l’UE e gli Stati Uniti la Svizzera rimane isolata e sotto pressione, ma ciò non deve dare l’impressione che il nostro paese sia circondato da nemici.

Un pacchetto da prendere o lasciare

La Svizzera ha definito da tempo la sua relazione con l’Unione Europea come una faccenda puramente economica; grazie all’accordo di libero scambio si riteneva di aver raggiunto una situazione confortevole. Secondo Rossier ciò è stato un errore. Quando l’UE, dopo lunghe consultazioni con tutti i suoi stati membri, giunge a una decisione, il pacchetto è confezionato e non viene «riaperto» apposta per la Svizzera. Un milione e mezzo di passaggi alla frontiera al giorno, più di quanto registrato fra Messico e Stati Uniti, dimostrano che la Svizzera ha tutto interesse a trovare soluzioni politiche con l’Unione Europea. Oggi spesso ci si limita ad adottare automaticamente delle decisioni europee, senza possibilità di dialogo.

La Svizzera merita una soluzione su misura

Per l’Unione Europea la soluzione ottimale sarebbe l’adesione della Svizzera allo spazio economico europeo (SEE). Rossier invece è convinto che la giusta via sia quella bilaterale poiché essa crea meno conflitti politici interni. I bilaterali sono vantaggiosi rispetto al SEE perché la Svizzera può dire di no in qualsiasi momento e non messa sotto la tutela di autorità di vigilanza. La via bilaterale ha comunque un prezzo, così come per la libera circolazione delle persone.

Alla domanda di Gerhard Schwarz se esistono o meno alternative in caso di accettazione dell’iniziativa dell’UDC sull’abbandono della libera circolazione delle persone («Contro l’immigrazione di massa»), Yves Rossier risponde che «non c’è piano B». Si possono analizzare tutti gli scenari, ma alla fine non è possibile sapere con certezza quale potrebbe essere in tal caso la reazione dell’UE. Più delle possibili reazioni di Bruxelles, bisogna appurare se sia davvero nell’interesse della Svizzera abbandonare la libera circolazione delle persone. Per Rossier la risposta è chiara: la libera circolazione è una delle ragioni del successo del modello svizzero.

Ma a voler cercare una soluzione alla questione istituzionale senza urgente necessità, non si corre il rischio che la politica europea del Consiglio federale finisca per ingigantire i problemi attuali? Yves Rossier non è di questo parere. Egli preferisce rinegoziare ora, in un momento in cui la situazione è ancora sotto controllo e è ancora possibile abbandonare il tavolo delle trattative. Anche l’Unione Europea governa in modo consensuale; persino un’eventuale decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) contro la Svizzera potrebbe essere risolta nell’ambito di una commissione mista con una soluzione amichevole.

La Svizzera potrebbe comunque respingere una tale decisione, ma anche questo avrebbe il suo prezzo. A questo proposito Rossier sottolinea l’esagerato timore di fronte ai giudici stranieri. Chiaramente la situazione attuale è più comoda senza accordi quadro istituzionali, ma ciò blocca la possibilità di nuovi negoziati bilaterali. In particolare il contenzioso fiscale dimostra che conviene sedersi al tavolo delle trattative quando la pressione dall’estero non è ancora massima e rimane spazio di manovra.