Plusvalore
L’individualizzazione dell’imposta sul reddito è essenziale per fare progredire la parità sul mercato del lavoro
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Marco Salvi
La parità di genere passa per le tasse
PlusvaloreL’individualizzazione dell’imposta sul reddito è essenziale per fare progredire la parità sul mercato del lavoro
Tra le molte misure proposte per fare progredire la parità tra i sessi – dal linguaggio inclusivo agli asili nido gratuiti – la riforma dell’imposta sul reddito non è tra le più salienti. È un peccato perché il nostro sistema fiscale scoraggia inutilmente la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. E chi dice partecipazione limitata, dice progressioni di carriera più lente, differenziali salariali tra uomini e donne persistenti e, a termine, maggiori disuguaglianze pensionistiche. Insomma, nella lotta per la parità, l’aspetto fiscale è essenziale ma rimane sottovalutato.
L’imposizione congiunta del reddito delle coppie sposate, come la conosciamo in Svizzera, fa sì che chi guadagna il secondo reddito (in stragrande maggioranza si tratta di quello della donna) venga imposto ad un tasso più alto di quello del reddito primario.
Consideriamo l’esempio di una coppia sposata, residente a Bellinzona. Lui guadagna un salario netto di 50 000 franchi annui. Per questo compenso piuttosto basso la coppia pagherà 2000 franchi d’imposta sul reddito, pari a 4 percento del salario. Se ora la coniuge decidesse di lavorare a tempo pieno per un salario equivalente a quello del marito, questo reddito supplementare verrebbe imposto non al 4 ma bensì al 17 percento – un tasso ben quattro volte superiore all’aliquota del marito.
Questa differenza palese è dovuta al fatto che nel sistema attuale i due redditi vengono addizionati e tassati congiuntamente, non individualmente. Così il sistema fiscale dissuade le donne sposate a lavorare di più.
Il passaggio all’imposizione individuale dei redditi permetterebbe di rimediare a questo problema. Ma non solo. Esso eliminerebbe un altro annoso contenzioso tributario: voglio parlare della penalizzazione fiscale del matrimonio, ovvero del fatto che numerose coppie sposate pagano più tasse dei concubini. (Ciò si verifica soprattutto a livello dell’imposta federale diretta e per redditi medio-alti). Invece, l’imposizione individuale è indipendente dallo stato civile. Essa non penalizza ne favorisce le coppie sposate.
Una proposta di passaggio all’imposizione individuale dei redditi verrà discussa nei prossimi giorni dalla Commissione dell’Economia e dei Tributi del Consiglio Nazionale. La proposta è già stata accettata agli Stati, ma – come si può immaginare – l’iter di una riforma in profondità dell’imposta più importante del nostro sistema fiscale è ancora lungo e pieno d’inghippi. Come lo è sempre stata la lotta per la parità.
Questo podcast è stato pubblicato il 21.2.2022 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Plusvalore
L’invecchiamento della popolazione è una causa principale dell’aumento delle disparità patrimoniali
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Marco Salvi
Più anziani – e disuguali
PlusvaloreL’invecchiamento della popolazione è una causa principale dell’aumento delle disparità patrimoniali
In Svizzera la distribuzione dei salari è assai uniforme. Ad esempio, se consideriamo gli occupati a tempo pieno, la differenza tra bassi e alti salari è da noi meno marcata che in quasi tutti i paesi membri dell’OCSE, il club dei paesi ricchi. Per quanto riguarda invece la distribuzione della ricchezza, ovvero del patrimonio economico (il quale ingloba la totalità degli attivi finanziari e immobiliari), la Svizzera si distingue per una disuguaglianza più pronunciata della media, anche se le statistiche al riguardo sono parecchio lacunose.
È però indiscutibile che le disparità di ricchezza sono aumentate negli ultimi 20 anni. Questo aumento si manifesta molto concretamente a chi oggi vuole acquistare una casa. Se nel 2000 per acquistare una casa media bisognava sborsare circa 7 volte il salario annuale, ora ne sono necessari più di dieci. Il prezzo delle case è salito durante gli ultimi vent’anni molto più velocemente dei redditi, il che tendenzialmente ha accentuato le differenze patrimoniali tra chi è proprietario e chi è rimasto inquilino.
Ma quali le ragioni profondi di questa evoluzione, del resto per nulla specifica al nostro paese? Una risposta la fornisce un gruppo di economisti americani che ha recentemente studiato l’effetto dell’evoluzione demografica sul risparmio.¹ La loro conclusione: nella maggioranza dei paesi, l’aumento delle disuguaglianze di patrimonio può essere ricondotto direttamente all’invecchiamento della popolazione.
Patrimonio e i risparmi, ancora più di salari e redditi, hanno infatti una forte componente demografica. La situazione di una trentenne – che ha accumulato ancora pochi risparmi, ma ha davanti una lunga carriera professionale – è all’opposto di quella del sessantenne che si avvicina piano piano al pensionamento, e quindi subirà presto una diminuzione drastica dei redditi da lavoro, ma che può contare su risparmi ben più sostanziosi.
Ebbene, con l’invecchiamento della popolazione è fortemente aumento il numero di quest’ultimi a scapito dei primi. L’abbondanza di risparmi ha fatto crollare i tassi d’interesse e salire i prezzi immobiliari. E con essi anche le disuguaglianze di ricchezza.
¹Adrien Auclert, Hannes Malmberg, Frédéric Martenet e Matthew Rognlie (2020). «Demographics, Wealth, and Global Imbalances in the Twenty-First Century».
Plusvalore, Podcast
L’aumento delle disparità nella distribuzione della ricchezza preoccupa i molti. Le disuguaglianze di patrimonio sono ad esempio un tema centrale della campagna elettorale dei candidati democratici alla presidenza degli Stati Uniti; mentre a giorni l’ONG britannica Oxfam pubblicherà il suo rapporto annuale che – c’è da scommetterlo – denuncerà un’ulteriore…
L’aumento delle disparità nella distribuzione della ricchezza preoccupa i molti. Le disuguaglianze di patrimonio sono ad esempio un tema centrale della campagna elettorale dei candidati democratici alla presidenza degli Stati Uniti; mentre a giorni l’ONG britannica Oxfam pubblicherà il suo rapporto annuale che – c’è da scommetterlo – denuncerà un’ulteriore crescita della ricchezza di chi è già ricco.
Ma anche da noi i patrimoni sono da tempo in crescita, e di riflesso cresce anche il valore globale delle eredità. Secondo un recente studio dell’università di Losanna esso raggiungerebbe oramai i 90 miliardi di franchi annui. Insomma, è venuto il momento di preoccuparsi, oltre che delle disuguaglianze di reddito, anche di quelle di patrimonio?
A mio parere la giusta risposta a questa domanda dipende dalle cause profonde del fenomeno. In Svizzera, e in genere nei paesi più avanzati economicamente, il colpevole è presto trovato: i bassi, anzi bassissimi tassi d’interesse. In effetti, come ogni studente d’economia – anche quello più distratto – ben sa: la ricchezza economica non è nient’altro che il valore presente dei flussi di reddito futuri. Così, il valore di una casa si calcola sommando tutti gli affitti futuri, rapportati ad oggi con un opportuno tasso d’interesse. A parità di affitto, più il tasso d’interesse è basso, più il valore di mercato dell’immobile sarà elevato. Il ribasso dei tassi d’interesse spiega quindi il rincaro dei prezzi immobiliari nel nostro paese, tuttora in crescita nonostante affitti stagnanti e numerosi appartamenti sfitti. E poiché la casa è bene più frequentemente donato in eredità, il ribasso dei tassi è anche la causa principale per l’aumento dei lasciti.
Tutta questa deviazione per la teoria finanziaria di primo semestre per portare a casa un punto davvero importante: gli aumenti di patrimonio attuali non sono altro che la rivalutazione di redditi futuri fondamentalmente immutati. Insomma, in parole povere siamo ben lontani da uno scenario dove pochi oligarchi si accaparrano di nuove fonti di reddito, tipo fabbriche o immobili, e da quel momento fanno la vita da nababbi. Da noi, l’aumento dei patrimoni (e delle sue disuguaglianze), non è accompagnato da una crescita delle disuguaglianze di reddito, né di consumo. Ed è quello che davvero conta.