Michael Wiederstein e Daniel Müller-Jentsch: L’importanza sociale dei baby boomer non è dovuta solamente alla dimensione delle loro coorti, bensì anche al fatto che costituiscono una generazione piuttosto omogenea dal punto di vista della socializzazione e dell’identità. Come lo si spiega?

Michael Hermann: I baby boomer hanno avuto e hanno tuttora una forte coscienza generazionale. Mentre oggi bisogna inventarsi delle lettere per designare una generazione – generazione X o Y –, i baby boomer hanno caratteristiche specifiche e un’identità chiara, che hanno sviluppato per definirsi in contrapposizione alla generazione che ha vissuto la guerra.

Mentre i baby boomer crescevano, i loro genitori erano impegnati nella ricostruzione; le privazioni e le preoccupazioni dovute alla guerra erano però ancora molto presenti. In che modo questa situazione ha segnato la generazione dei baby boomer?

È vero, i baby boomer sono stati una sorta di generazione cerniera. I loro genitori, la generazione della guerra, hanno vissuto una o due guerre mondiali e almeno una crisi economica drastica. Queste esperienze sono state traumatiche. Molti sviluppi, come per esempio l’apertura della società e l’accento sulla realizzazione personale, iniziati nel corso degli «anni ruggenti» del periodo tra le due guerre, sono stati interrotti se non addirittura azzerati dalla Grande Depressione e dalla Seconda Guerra mondiale. Senza questa rottura, tali sviluppi sarebbero probabilmente proseguiti in modo graduale. In tal modo, tuttavia, sono stati arginati e contenuti fino al 1968. Mai prima di allora il divario generazionale era stato così profondo. I traumi della prima metà del XX secolo hanno plasmato i genitori dei baby boomer e la loro visione del mondo, ordinata e focalizzata sui beni materiali. La generazione del baby boom è stata socializzata nel periodo del boom economico e della sicurezza del dopoguerra, e ha scoperto nuovi stili di vita e nuovi orizzonti! Ciò ha toccato l’economia, ma anche la politica, la musica e la moda. Il fatto di attribuire tutte le novità e i progressi ai giovani è un’invenzione dei baby boomer – e questa associazione è forte ancora oggi. Per esempio, oggi come in passato la pubblicità continua a puntare sui giovani quale target rilevante.

È d’accordo con la tesi secondo cui i baby boomer sarebbero una generazione molto politica, politicizzata dal loro percorso collettivo, ma anche dal contesto ideologico della guerra fredda in cui sono cresciuti?

Senz’altro. Soprattutto gli anni ’60 e ’70 sono stati un’epoca di teorie e ideologie: vi erano due chiare alternative politiche all’Est e all’Ovest. L’accesso alla politica era discorsivo e dialettico. Le idee radicali di quest’epoca non erano ancora state disilluse dalle diverse esperienze. Inoltre, il forte divario generazionale ha contribuito alla politicizzazione – tutto era politico: i jeans, il rock ’n’ roll e ovviamente anche la sessualità. Le esperienze dei baby boomer con i propri genitori, percepiti come autoritari, hanno forgiato la loro coscienza politica e hanno portato a uno slancio di solidarietà con i popoli oppressi e con i lavoratori sfruttati. Oggi la «generazione» quale riferimento identitario ha perso fortemente importanza: alcuni genitori sono conservatori, altri di sinistra – e allora?

Potrebbe essere più concreto?

Siccome non vi sono più attriti evidenti con la generazione dei genitori, il concetto di generazione ha perso il suo carattere di identificazione. Non fraintendiamo: non tutti i rappresentanti della generazione che ha vissuto la guerra erano conservatori e non tutti i baby boomer erano di sinistra. Tuttavia vi è per entrambi i gruppi una narrazione dominante. Perfino i calciatori professionisti all’epoca si lasciavano crescere i capelli e indossavano pantaloni a zampa d’elefante, anche se molti di loro non erano realmente interessati al quadro politico. Dominava una sorta di pressione del gruppo generazionale. Quando questa più tardi ha iniziato a dissolversi, molti baby boomer si sono spostati a destra dello spettro politico. Mi sono occupato di questo fenomeno in un’analisi longitudinale di sondaggi post-votazioni. Lo studio ha rivelato che i baby boomer in realtà si sono posizionati chiaramente più a sinistra rispetto ai loro genitori, ma che più tardi hanno oscillato più a destra rispetto alle altre coorti. La generazione successiva per esempio, alla quale io stesso appartengo, all’inizio si trovava meno a sinistra, ma in seguito si è anche spostata meno fortemente a destra.

Se quindi le coorti successive non si sono più identificate con una generazione, cosa ha sostituito questa «pressione del gruppo generazionale»?

Più che la generazione oggi sono l’ambiente e i percorsi formativi individuali a formare l’identità politica. La situazione è paragonabile alle classi sociali: le differenze di classe si lasciano ancora determinare a livello economico, ma non si può più individuare una coscienza di classe omogenea come la intendeva Karl Marx. Anche se sarà sempre possibile distinguere una generazione dall’altra, ciò non basta a generare una coscienza generazionale. Non occorre necessariamente un conflitto con la generazione dei genitori, ma perlomeno un vissuto comune. «Generazione stagista» è un termine che cerca di familiarizzare con questo concetto. Tuttavia è improbabile che la difficoltà comune di entrare nel mondo del lavoro sia in grado di creare un’identità generazionale. L’attuale sviluppo tecnologico, e in particolare la digitalizzazione hanno maggiori probabilità di plasmare la consapevolezza delle generazioni più giovani. In questo modo si potrebbe forse dare più contenuto alle generazioni X, Y e Z.

Esiste una tesi secondo cui i baby boomer sarebbero l’ultima generazione ad essere stata socializzata in modo significativo attraverso i libri – e politicizzata attraverso i media tradizionali. In seguito, la televisione privata e i media elettronici hanno avuto il sopravvento; entrambi assumono sempre più la funzione di socializzazione e di comunicazione politica tra i giovani. Questi sviluppi contengono molto materiale politico esplosivo – basti pensare alle casse di risonanza o alle fake news.

I baby boomer sono l’ultima generazione del libro, ma sono anche la prima ad aver beneficiato dell’enorme espansione dell’istruzione dopo il 1945, espansione che continua tutt’oggi. Rispetto ai loro genitori e nonni, sono molto istruiti e hanno sviluppato una grande consapevolezza intellettuale. Anche a tale proposito rappresentano una generazione cerniera. All’epoca tuttavia, a differenza di oggi, essere aperti a teorie molto astratte e sommergersi di grossi tomi era di moda. Dalla generazione che ha vissuto la guerra i baby boomer hanno senz’altro ereditato e ripreso un certo rigore e una certa disciplina, che non hanno però applicato a tutti gli ambiti della vita. A partire da allora anche in politica la realizzazione personale ha iniziato a contare sempre di più, e i cosiddetti «nuovi movimenti sociali» sono emersi al di fuori delle strutture esistenti percepite come restrittive. I baby boomer sono perciò anche la prima generazione dell’individualismo totale.

Quali sono le conseguenze ad oggi?

Se non si tiene conto del gran rumore del 1968, l’individualismo è in definitiva la quintessenza di ciò che è stato trasmesso dai baby boomer alle generazioni successive. In quegli anni ha avuto inizio ciò che oggi ha portato alla crisi del sistema di milizia: l’amore per l’ordine e il senso del dovere caratteristici della generazione dei genitori sono stati screditati a semplici virtù secondarie. Ciò che invece è stato mantenuto è la convinzione della propria capacità di giudizio. Comunque, piuttosto che di tradizione e morale si tratta ora soprattutto di distinguere tra consumo corretto e sbagliato, fonti sicure o inaffidabili o anche tra tabloid e stampa di qualità.

Siccome la generazione dei baby boomer è stata così politicizzata, socializzata ancora dalla carta e ben istruita, possedeva anche una spiccata capacità di trattare temi complessi e condurre dibattiti politici di spessore. È stata in grado di sostenere uno stato democratico e di mantenere il suo dinamismo. Quest’immagine dei baby boomer ci permette di considerarli una generazione politica esemplare?

Sì, si potrebbe vederla così. Ma non si dovrebbe idealizzare questa generazione sostenendo che sia l’ultima dotata di una chiara capacità di giudizio, dopo la quale regna il qualunquismo. Perché? È certo che i baby boomer non si sono fatti spaventare da sistemi astratti e da universi di pensiero complessi. Questa attenzione al rigore teorico e alla purezza ideologica ha tuttavia minato sia la capacità di pensiero autocritico che di osservazione aperta – e su entrambi i lati dello spettro politico. Alcuni erano in grado di entusiasmarsi per Mao, altri per il generale Pinochet. Era anche una generazione convinta di aver sempre ragione: fino al 1980, ogni gruppo era certo di essere sulla strada giusta – e che tutti gli altri fossero perduti.

Dopo una gioventù segnata da ideologia e ribellione, i baby boomer hanno iniziato la lunga marcia attraverso le istituzioni. Oggi occupano posizioni chiave in seno all’economia, alla politica e alla società. In questo senso, essi hanno trovato la loro strada nel sistema dei loro genitori, a cui non hanno rinunciato, ma che hanno riformato e sviluppato. Ora che si stanno gradualmente ritirando, che ne sarà della nostra capacità di gestire questa complessità intellettuale e organizzativa?

In effetti la volontà di affrontare sistemi complessi diminuisce nelle generazioni successive. Ciò che non si lascia riassumere in una semplice narrazione è considerato sempre più come impossibile da trasmettere. Sembra che oggi la politica sia sempre più intesa come una sottodisciplina della comunicazione. Alla generazione dei baby boomer si può rimproverare molto, ma in realtà ha davvero cercato con la massima convinzione di migliorare il sistema. Bill Clinton, Gerhard Schröder o Tony Blair quali tipici rappresentanti di questa generazione hanno rischiato una rottura con la propria base pur di far progredire le loro idee di riforma. Ovviamente si erano affrancati da tempo dal vecchio corsetto ideologico.

Le generazioni più giovani crescono con l’onnipresenza di Internet, dei social media e delle applicazioni per smartphone. Ciò che richiede oltre due minuti di attenzione si ritrova presto fuori dal gioco. Quali sono gli effetti sul dibattito politico e sulla formazione dell’opinione – in particolare in una democrazia diretta di stampo svizzero?

Qui in effetti emergono le sfide per il nostro sistema politico. Per il momento questa nuova generazione sembrerebbe interessarsi assai poco di ciò che accade nella «sala macchine» della politica. La questione centrale non ruota più attorno alle riforme da attuare, bensì a come possano essere vendute politicamente e capitalizzate al meglio. I ferri del mestiere sono la comunicazione e le pubbliche relazioni, anziché l’elaborazione e il varo delle leggi. Le persone che concepiscono la politica come una professione tecnico-giuridica oggi si trovano piuttosto nelle associazioni o all’interno dell’amministrazione. Questa è una delle cause della rinascita del populismo. In effetti attraverso la reinterpretazione della politica come un atto di comunicazione la verità percepita ha ottenuto la legittimità necessaria rispetto alla verità basata sui fatti.

Intende dire che l’individuo liberato della generazione X o Y oggi è sempre più disorientato nel supermercato delle idee e dei concetti di vita?

In realtà oggi abbiamo una pluralità incredibile, difficilmente immaginabile ancora una generazione fa. I baby boomer si sono battuti per la libertà, l’apertura e la prosperità. Ma durante la loro gioventù questi principi non erano altro che idee astratte. L’utopia di «presto l’apertura sarà ovunque e potremo fare tutto» era molto ancorata, sia tra i liberali che tra i socialisti. All’orizzonte vi erano idee che si volevano concretizzare. Dov’è quindi finita questa prospettiva ottimista sul futuro? Le grandi linee, la narrativa dell’ascensione sociale… sono sbiadite. Penso che questo contribuisca a instillare una sorta di disorientamento politico nei giovani.

Quali sono le conseguenze per il nostro sistema dei valori?

Qui si può fare un bel paragone: per i baby boomer il benessere economico era dato per scontato ed essi hanno considerato questa prosperità come acquisita, o addirittura l’hanno disdegnata. La mia generazione e tutte le generazioni successive hanno imparato a conoscere lo Stato di diritto, la divisione dei poteri e la democrazia in modo molto simile, come qualcosa di scontato. Quello che per le generazioni più vecchie ha rappresentato una conquista contesa, per le giovani generazioni è qualcosa che «c’è sempre stato». Chi non ha vissuto il periodo del totalitarismo non apprezza allo stesso modo la forza e il significato dello Stato sociale liberale e dello Stato di diritto liberale. La generazione della guerra ha visto i limiti dell’umanità, i baby boomer quelli del materialismo, noi ora vediamo i limiti della democrazia. Troppi hanno dimenticato cosa sia il totalitarismo – e quanto esso possa essere pericoloso.

Non sarebbero forse proprio i baby boomer a doverci sensibilizzare maggiormente?

C’è un problema in tal senso: i baby boomer si sono avventurati fuori da una lunga fase di sicurezza e di stabilità, hanno messo le loro idee sul banco di prova, e si sono spaventati delle forze che hanno liberato. Si sono messi in una situazione di incertezza per quanto riguarda la rapida globalizzazione e l’apertura crescente. Molti oggi non sono disposti a pagarne il prezzo. Anche per questo motivo nel corso del tempo sono diventati più conservatori …

… il che offrirebbe, ancora una volta, del potenziale di emancipazione ai più giovani, o sbaglio?

Le generazioni più giovani sono effettivamente più aperte e trovano anche meno problematici i cambiamenti radicali – come mostrato dalla Brexit e dall’elezione di Donald Trump. Quale ottimista direi che attualmente ci troviamo in una fase in cui diverse generazioni, per motivi differenti, testano l’importanza della democrazia, dello Stato di diritto e della separazione dei poteri. Il risultato di questi «test» e del mettere in discussione tali principi sfocia in una maggiore consapevolezza di quello che si ha e di quello che si potrebbe perdere. Le democrazie a volte hanno bisogno anche di sfide e di controprogetti. Uno degli insegnamenti del recente passato è che questo processo, a lungo termine, ha un effetto stabilizzante.