Al popolo non è piaciuta per niente l’iniziativa popolare «Basta con l’IVA discriminatoria per la ristorazione!»: lo scorso 28 settembre quest’ultima è infatti stata nettamente respinta con il 71,5% dei voti, e questo nonostante il punto esclamativo. Ora a Berna si discute già la prossima proposta di riforma: l’aliquota unica. Tanto meglio: l’IVA nella sua forma attuale è messa male. In realtà non dovrebbe essere così: fondamentalmente l’IVA è meno dannosa rispetto all’imposta sul reddito, poiché essa non punisce risparmio e investimenti. Inoltre si lascia eludere solo difficilmente. Ogni azienda ha un incentivo a documentare le proprie prestazioni preliminari in modo corretto, così da ricevere il rimborso delle imposte anticipate. Purtroppo le 29 categorie di beni e prestazioni esentate e le tre aliquote non rendono; oggi l’IVA è inefficiente e complicata. Le aziende devono confrontarsi con complesse questioni giuridiche di delimitazione, in alcuni casi addirittura assurde. Così per esempio un romanzo su carta viene tassato al 2,5%, lo stesso romanzo in forma di E-Book invece all’8%.

L’introduzione di un’aliquota unica – anche per i beni e le prestazioni esenti da imposte – renderebbe l’IVA una vera tassa sul consumo. Il nuovo tentativo però non parte dalle migliori premesse. Per molti politici i tassi differenziati sono inviolabili – soprattutto il tasso ridotto del 2,5% sui beni alimentari. Questa e altre eccezioni sono motivate quasi completamente con argomenti di politica sociale: in questo modo dovrebbero essere sgravate le economie domestiche a basso reddito che spendono una gran parte del loro salario per i beni alimentari – così in teoria.

Questa argomentazione è poco plausibile, poiché ridistribuire redditi tramite l’IVA comporta effetti di trascinamento. Spieghiamo: è vero che le classi a basso reddito approfittano leggermente di più della riduzione dell’aliquota rispetto alle classi ad alto reddito. Tuttavia questa riduzione favorisce ampiamente anche chi per così dire non ne avrebbe particolarmente bisogno. Per ogni franco per cui la classe di reddito più basso viene sgravata, a sua volta la classe di reddito più elevato viene infatti sgravata di due franchi. Questo perché non solo i beni alimentari di prima necessità sono sovvenzionati a livello fiscale, bensì anche il consumo di caviale, filetto e prodotti bio approfitta di queste sovvenzioni. In pratica però deve per forza essere così, altrimenti per ogni singolo alimento si dovrebbe definire se esso debba essere tassato secondo l’aliquota ridotta o meno. Questo lavoro sarebbe assurdamente lungo e complicato.

Per farla breve: l’aliquota ridotta ha un effetto redistributivo molto modesto e mal mirato, allo stesso tempo però comporta alti costi economici. Questo non può essere sensato. La ridistribuzione dovrebbe avvenire attraverso l’imposta sul reddito – che si lascia anche effettivamente impostare individualmente – ma non attraverso l’IVA.

Ulteriori informazioni: «Tra oneri e prestazioni: una bussola fiscale per la Svizzera»