Negli ultimi due anni la forte rivalutazione del franco svizzero ha aumentato la differenza del livello dei prezzi con i paesi limitrofi. Di riflesso, il mondo politico si è sentito in dovere di intervenire con misure contro la cosiddetta isola dei prezzi elevati. Ciò è culminato nell’insensata richiesta di impedire a certe ditte di praticare una differenziazione dei prezzi, cioè di offrire prezzi diversi per la stessa merce a clienti diversi. Nell’ambito della revisione della legge sui cartelli c’è chi ha suggerito l’aggiunta di un articolo sulla libera concorrenza che autorizzerebbe a punire quelle imprese multinazionali che si rifiutano di applicare in Svizzera le stesse condizioni riscontrate negli altri paesi. Anche se la revisione in tal senso della legge è oramai improbabile, il divieto della discriminazione dei prezzi è ancora argomento di discussione.
Un approfondito studio della BNS
I circoli più illuminati rilevavano già da qualche tempo che non ci si può aspettare un trasferimento immediato e completo dei guadagni dal tasso di cambio verso i consumatori e i clienti svizzeri. Ora uno studio della Banca nazionale svizzera (BNS) mostra che in Svizzera le variazioni del tasso di cambio hanno un influsso a lungo termine su circa il 40 % dei prezzi all’importazione. Questo influsso chiamato «Exchange Rate Pass-Though», si situa a livelli comparabili con gli altri paesi europei o gli Stati Uniti. In Svizzera però i consumatori possono inoltre decidere liberamente di procurarsi nei paesi limitrofi i beni che, a qualità eguale, ritengono troppo cari.
Questa analisi obiettiva della situazione non è piaciuta alle associazioni per la protezione dei consumatori che spesso predicano il mito dei consumatori indifesi, in balia degli approfittatori stranieri. Anche i rappresentanti delle imprese non mancano di criticare il turismo degli acquisti giudicandolo poco patriottico, sostenuti dai grandi distributori che non mancano di rilevare la loro impotenza di fronte ai giganti internazionali presso i quali si forniscono. Nessuno sembra fidarsi delle forze di mercato.
Eppure quello che è successo negli ultimi anni corrisponde ai modelli economici spiegati in qualsiasi manuale. I consumatori svizzeri (e ticinesi) non sono stati ad ascoltare i discorsi politici, hanno messo da parte il patriottismo e sono andati a svuotare gli scaffali nei negozi oltre confine. In tutto sono stati comprati all’estero vestiti, scarpe, generi alimentari per un valore complessivo di svariati miliardi di franchi svizzeri. I dettaglianti svizzeri, ma anche le filiali di grandi gruppi internazionali presenti nel nostro paese, hanno subìto una contrazione della loro cifra d’affari. Hanno reagito con una diminuzione di prezzi: durante la prima metà del 2013 gli analisti di AC Nielsen hanno registrato una diminuzione dei prezzi del 5 % nei settori più colpiti dal turismo degli acquisti, come quello dell’igiene e della cura del corpo.
I prezzi sono anche determinati dalla disponibilità a pagare
Naturalmente, queste ultime due categorie di prodotti, come anche altri articoli di marca, rimangono più cari in Svizzera rispetto all’estero. L’adattamento dei prezzi sui vari mercati non si fa dall’oggi al domani. Fino a quando i mercati continueranno a funzionare come descritto, non vi è motivo di intervenire. Se le consumatrici e i consumatori svizzeri dovessero continuare a percepire un’importante differenza di prezzo fra la Svizzeri e i paesi confinanti, essi continueranno ad acquistare i propri beni oltre frontiera. Se però i prezzi dovessero, anche a lungo termine rimanere più elevati, la spiegazione va cercata nella maggiore disponibilità a pagare degli Svizzeri per gli stessi prodotti – non nelle strategie di prezzi delle multinazionali.