«Mania di risparmio, risparmio spietato». Sono queste alcune parole-chiave con cui i media stanno dipingendo il quadro di un’Europa in affanno per l’austerità finanziaria forzata. Ma cosa intendiamo di preciso quando parliamo di risparmio? Già Confucio sapeva che se si ingarbugliano i concetti, il mondo diventa un caos. Un parallelismo utile per chiarire il concetto del risparmio vero e proprio lo offre uno sguardo al bilancio famigliare: mettendo da parte qualcosa, spendendo meno di ciò che si guadagna, le famiglie risparmiano. A volte si parla di risparmio anche quando si spende meno di prima.
Nessun centesimo risparmiato
Chiaramente si può risparmiare solo se le entrate superano le uscite. In caso contrario non si tratta di risparmio ma di riduzione del debito. E un affarone fatto durante i saldi non corrisponde in nessun caso a un risparmio reale in termini di creazione di ricchezza – anche se spesso e volentieri l’acquirente in questione si illude di aver risparmiato qualcosa. Piuttosto si tratta di un acquisto a un prezzo favorevole di un bene che l’acquirente non avrebbe mai comprato se non fosse stato venduto a quel prezzo – e conseguentemente si tratta di un aumento della spesa o addirittura di un eccesso di spesa – ovvero l’opposto del risparmio.
Sarebbe opportuno servirsi della stessa terminologia anche nel discorso sul bilancio pubblico degli Stati. Come funziona il «risparmio senza pietà» in Europa? Applicando la logica spiegata sopra, dal 1995 la Francia, uno dei Paesi cardine dell’Europa non ha risparmiato alcun centesimo. Anzi, anno dopo anno, Parigi ha speso di più di quanto entrava nelle sue casse e ciò nonostante i criteri di Maastricht, secondo i quali i bilanci sarebbero dovuti essere portati in pareggio. Il grafico non mostra il deficit in forma abbellita come percentuale del Prodotto Interno Lordo (PIL) bensì quale percentuale delle entrate. Di conseguenza, l’eccesso di spesa raggiungeva al massimo il 15%.
Chi meno ha, più spende
Gli altri Paesi non erano messi meglio. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna (non rappresentati nel grafico) i deficit di bilancio hanno superato negli ultimi anni addirittura il 20%. Gli USA hanno persino raggiunto un deficit record del 37%. Anche la rigorosa Germania ha risparmiato solo in 2 anni su 20 e questo grazie a fattori straordinari, come la vendita all’asta delle licenze UMTS. Il deficit tedesco raggiungeva i suoi livelli più elevati, anche il 21%, quello italiano il 17% delle entrate.
Non sono state, come invece spesso si pensa, le misure di sostegno a seguito della crisi finanziaria a distogliere gli Stati dalla via della virtù e dell’equilibrio finanziario oppure, ancora prima, le misure di sostegno all’economia a far scivolare il bilancio nelle cifre rosse. La verità è che gli Stati, tutti senza eccezione, hanno semplicemente continuato a vivere al di sopra dei propri mezzi. In netto contrasto con le raccomandazioni di John Maynard Keynes, il cui nome viene ora spesso evocato, alcuni Stati continuano a darsi alla pazza gioia finanziaria, anche nei periodi di alta congiuntura.
Le conseguenze della creazione di questi debiti sono lampanti: il debito totale cresce di anno in anno, gli Stati non dispongono di risparmi per emergenze o per progetti particolarmente importanti e stanno quindi annegando in un mare di debiti.
Ogni anno si spende di più
Il grafico mostra una moltitudine di disavanzi accumulati da tutti i Paesi dell’area dell’Euro dal 1995 – in sostanza dal momento in cui era chiaro quali Paesi si sarebbero dovuti mettere in riga in vista dell’introduzione della moneta unica e passare ad una gestione finanziaria particolarmente oculata. Il 71% di questi debiti è stato creato da tre grandi Stati che, notabene, producono solo il 65% del PIL dell’Eurozona. Come si può pensare che un tale atteggiamento sia lungimirante?
Ma allora si può almeno parlare di «risparmiare» nel senso di «spendere meno»? Siccome a nessuno verrebbe in mente di chiamare «risparmio» l’aumento delle spese di un bilancio statale solo perché lo Stato in questione ha potuto aumentare le entrate, ci atterremo qui ai numeri assoluti. La quota di spesa più usata (uscite in relazione al PIL) dà indicazioni sulla sostenibilità finanziaria delle uscite, nulla ci dice però sul rigore di un risanamento.
Anche in questo caso, i problemi sono sostanzialmente gli stessi: nel periodo di osservazione, le uscite statali nominali della zona Euro sono cresciute senza sosta, cosicché nel 2010 le uscite erano del 58% superiori al livello del 1995. I dati sgravati dall’inflazione (non sono purtroppo disponibili quelli di Eurostat) mostrerebbero naturalmente una curva più piatta, ma non modificherebbero il messaggio fondamentale. La Germania è l’unica a poter essere qualificata di sola miopia in mezzo a non vedenti, per il semplice fatto che dal 1995 la crescita della sua spesa pubblica è inferiore al 20%. Invece, se si considera il periodo tra il 1992 e il 1995, a causa della riunificazione la spesa pubblica era particolarmente elevata.
Nel 2011, la Germania ha effettivamente ridotto la propria spesa – dell’1%. L’Italia aveva già proceduto ad una riduzione nel 2010, ma nel 2011 le uscite sono aumentate più di quanto il Belpaese le aveva ridotte prima. E la spesa pubblica della Francia continua a crescere in modo sfrenato. Visto l’aumento delle uscite degli ultimi anni e l’esplosione dei deficit annuali, con riferimento ai programmi di austerità dell’Eurozona non si può di certo parlare di risparmio «spietato».
Il presente articolo è apparso nella «Neue Zürcher Zeitung» del 26-27 maggio 2012. Si ringrazia la redazione della NZZ per la gentile concessione.