La pandemia da Coronavirus e i suoi effetti sul mercato del lavoro potrebbero aggravare la disoccupazione tecnologica? Secondo un recente sondaggio del World Economic Forum (WEF), l’80 percento delle grandi imprese prevede di accelerare a corto termine il processo di robotizzazione e automatizzazione. Quasi la metà di esse prevede che questo processo porterà alla soppressione di posti di lavoro. È forse ora di lanciare un’offensiva di formazione continua su larga scala anche nel nostro paese?
Penso bisogni rispondere a questi importanti interrogativi in maniera differenziata. Non è da ieri che il progresso tecnologico contribuisce a trasformare il mercato del lavoro svizzero. Basti osservare il cambiamento dei profili e dei curriculi richiesti e l’impennata della domanda di personale altamente qualificato. Se nel 1996 650 000 occupati esercitavano una professione accademica, nel 2019 erano già 1,25 milioni. Le categorie professionali con qualifiche intermedie hanno invece segnato una flessione, primi fra tutti gli artigiani. In linea generale, negli ultimi 25 anni le prospettive di carriera dei lavoratori con apprendistato professionale ma senza specializzazione di livello terziario sono peggiorate.
Eppure, tutti questi cambiamenti non hanno portato ha un aumento della disoccupazione. Questo lo si deve anche alla capacità degli occupati a formarsi e specializzarsi. In linea di principio, la Svizzera ha un’ottima offerta di formazione continua e un elevato tasso di adesione, per cui una promozione generale in tal senso non mi sembra necessaria.
La propensione alla formazione continua e allo studio informale dipende tuttavia molto dal livello di istruzione. Paradossalmente, maggiori già sono le qualifiche, più elevata è l’attività formativa. Insomma: chi già sa, vuole sapere di più. In questi termini, la postformazione non colma il divario educativo tra i gruppi, ma anzi lo esacerba. Così, determinate fasce di lavoratori non partecipano del tutto alla formazione permanente, mettendo in pericolo la loro impiegabilità a lungo termine. Questo segmento dovrebbe essere avvicinato in modo mirato alle opportunità di riqualifica.
Strumenti particolarmente adatti in tal senso sono i buoni di postformazione e i prestiti per le riqualificazioni di lunga durata. Altri strumenti invece, come le deduzioni fiscali delle spese per la formazione continua non si prestano a sostenere la riconversione professionale poiché vanno principalmente a vantaggio di persone con salari elevati, che peraltro non denotano carenze motivazionali in campo formativo.
Questo podcast è stato pubblicato il 03.05.2021 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
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Fornire incentivi per garantire una formazione lungo tutto l'arco della carriera
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Marco Salvi
Tirocinio: i rischi di un sistema vincente
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Già lo si è detto e ridetto in questa sede: il mercato del lavoro è la vera «success story» della nostra economia. Lo dimostrano non solo il livello, ragguardevole, dei salari, ma anche l’alto tasso di occupazione e la bassa percentuale di disoccupati, persino tra i giovani.
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Quale è la ragione di questo successo? Le particolarità del nostro sistema sono molte, una spiegazione unica non c’è. All’estero cresce però l’interesse per il modello elvetico di formazione duale. In nessun altro paese la formazione professionale è tanto diffusa quanto in Svizzera, con quasi due terzi dei giovani che, dopo la scuola dell’obbligo, svolge un tirocinio.
Il tirocinio facilita la transizione tra scuola e lavoro perché è incentrato sull’insegnamento pratico. Si stima che gli apprendisti svizzeri dedichino l’80% del loro tempo a mansioni operative. Se nel primo anno di tirocinio la produttività degli apprendisti è ancora bassa, nel terzo anno essa raggiunge il 75% di quella di un dipendente medio. Ciò illustra bene la rapidità con cui i giovani acquisiscono conoscenze specifiche, utili alle imprese.
Rischi reale
Il sistema però comporta anche rischi. Se è vero che le qualifiche fornite dalla formazione professionale facilitano l’ingresso sul mercato del lavoro, esse possono diventare rapidamente obsolete, proprio perché specialistiche. Per esempio, fino ai primi anni ’90 si trovavano ancora posti d’apprendistato per riparatori di macchine da scrivere.
Al di là dell’aneddoto, analisi empiriche rivelano come il rischio sia ben reale. In uno studio recente, Eric Hanushek, grande specialista dell’economia dell’educazione, mostra come chi completa una formazione professionale abbia sì maggiori probabilità di essere occupato da giovane; il vantaggio occupazionale diminuisce però gradualmente con l’età. Hanushek stima che a partire di 50 anni le persone che completano un’istruzione secondaria generale hanno maggiori probabilità di occupazione rispetto a chi ha completato un tirocinio.
Ed è proprio in tempi di rapidi cambiamenti tecnologici che la conoscenza generale va favorita rispetto a quella specialistica. La formazione professionale dovrebbe pertanto essere orientata il più possibile verso il lungo termine, limitandone eccessive specializzazioni. Sarà inoltre essenziale fornire in futuro incentivi sia ai singoli che ai datori di lavoro per garantire una formazione lungo tutto l’arco della carriera.