Ad inizio 2012 il Consiglio Federale ha approvato il messaggio sulla revisione della legge sui cartelli (LCart). Lo scopo di questa modifica è la modernizzazione del diritto della concorrenza svizzero, soprattutto in ottica di una velocizzazione e di un miglioramento del processo in tema di cartelli. In fondo il Consiglio Federale ambisce ad una intensificazione (o incentivazione) della concorrenza, in modo da rafforzare la piazza economica svizzera. Oggi come oggi manca una discussione ad ampio raggio che si domandi in quale misura la revisione della legge sui cartelli proposta dal Consiglio Federale sia proficua a tal fine. Un dibattito di questo genere si svolge da tempo tra esperti, mentre la maggior parte dell’opinione pubblica collega la revisione della legge sui cartelli soprattutto con la mozione «Birrer-Heimo». Si tratta di una mozione approvata dal Consiglio Nazionale proposta dalla parlamentare del PS Prisca Birrer-Heimo, che chiede che la legge sui cartelli, venga completata da un articolo sulla differenziazione illegittima dei prezzi. È vero che la Commissione consultiva dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati (CET-S) ha respinto la mozione ma come appreso dalla stampa, la Commissione ha dibattuto nuovamente in gennaio una proposta che in definitiva chiedeva la stessa cosa: le aziende straniere dovrebbero venire multate se si rifiutano di rifornire gli svizzeri con le condizioni vigenti all’estero. Fortunatamente, la CET-S ha rigettato anche questa nuova proposta.

I prezzi vengono differenziati anche all’estero

Lo sfondo delle rivendicazioni è la lotta contro l’isola dei prezzi elevati. Capita spesso che le aziende straniere calcolino ai clienti svizzeri un «supplemento speciale per la Svizzera». Le discriminazioni regionali a livello di prezzo funzionano soprattutto se si riesce a segmentare gli acquirenti in gruppi con diverse disponibilità a pagare.

È ovvio che gli svizzeri, ricchi e a confronto meno sensibili agli sbalzi di prezzo visto che non posseggono una moneta comune ai propri Stati confinanti, possono essere piuttosto appetibili per una segmentazione di questo genere.

È sbagliato pensare che queste strategie di differenziazione dei prezzi vengano messe in atto solo dalle ditte straniere. Anche le aziende svizzere ne seguono la logica economica. Per esempio, al momento è in corso un’indagine antitrust nei confronti della Jura – una ditta svizzera con un’importante tradizione alle spalle – per un probabile intralcio delle importazioni parallele relativo ad apparecchi elettrici e ad uso domestico. In fondo non si tratta in nessun caso di un fenomeno esclusivamente elvetico. Anche nel mercato interno europeo i prezzi si differenziano. È per esempio tipico che i cittadini belgi si lamentino dei loro prezzi più alti rispetto alla vicina Olanda.

Politica economica piuttosto che diritto della concorrenza

Il fatto che la Svizzera si presti in diversi settori alla discriminazione dei prezzi diventa un problema di antitrust se il mercato elvetico viene volutamente isolato da aziende elvetiche e straniere. In tutti gli altri casi viene chiamata in causa la politica economica, non quella della concorrenza: un’apertura del mercato coerente (anche nel settore agrario), l’applicazione del principio Cassis-de-Dijon e il conseguente abbattimento delle barriere commerciali sarebbero delle buone ricette contro il «supplemento speciale per la Svizzera» tanto quanto un nuovo articolo nella legge sui cartelli, nel migliore dei casi economicamente inefficace, nel peggiore controproducente.

Un potenziale di danno doppio

Un divieto antitrust della differenziazione dei prezzi può risultare inefficace per due motivi: in primo luogo le autorità economiche non posso imporre all’estero la legge sui cartelli. Secondariamente è ingenuo pensare che oltre le nostre frontiere vigano delle condizioni unitarie. I prezzi tra i fornitori e i clienti dipendono da diversi fattori: dalla quantità acquistata, dalla durata dei contratti di fornitura, dagli accordi esclusivi o dagli apporti del marketing. Portare una prova «delle condizioni di consegna inadeguate» che venga riconosciuta anche dai tribunali è un’impresa pressoché impossibile – soprattutto visto che l’azienda con sede all’estero non è obbligata ad una cooperazione con le autorità economiche svizzere. Ed è proprio qui che si cela il potenziale di danno di un articolo di legge di questo genere. Per le ditte che temessero di finire, a causa di una più severa regolamentazione, sotto le grinfie delle autorità antitrust, verrebbe creato l’incentivo di lasciare la piazza economica svizzera. In questo caso la Svizzera perderebbe doppiamente: la fastidiosa discriminazione dei prezzi potrebbe continuare a serpeggiare protetta dall’estero e nel nostro Paese andrebbero persi posti di lavoro ed entrate fiscali.