Atto primo: preistoria

Già prima dell’inizio della costituzione dell’unione monetaria europea nel 1992 vi è stata un’importante controversia tra gli stati membri: una lotta tra «monetaristi» e «economisti». I primi (Francia, Belgio, Lussemburgo) vedevano in una coordinazione e in una collaborazione reciproca in materia di politica monetaria un motore per l’approfondimento dell’integrazione economica. I secondi (Germania, Paesi Bassi, Italia) al contrario puntavano soprattutto su una convergenza economica e politico-economica, in cui l’unione monetaria sarebbe stata per così dire la coronazione dell’integrazione economica. Alla fine hanno trionfato i monetaristi.

Atto secondo: la politica prima dell’economia

Dopo il fallimento del serpente monetario europeo si sono susseguite diverse tappe: il sistema monetario europeo nel 1979, il Trattato di Maastricht nel 1993, l’Unione economica e monetaria (UEM) nel 1999, e infine l’introduzione dell’euro come unica moneta legale nel 2002. Già allora la maggior parte degli economisti ha messo in guardia da questo passo, non considerando l’Europa come uno spazio monetario ottimale. I politici credevano però che seguendo lo stesso percorso si sarebbe instaurato da sé uno sviluppo convergente dell’economia e uno spazio monetario omogeneo. Da una parte sono stati sopravvalutati i vantaggi dell’Unione monetaria prodotti a livello microeconomico attraverso la soppressione dei costi dovuti al cambio delle valute. Dall’altra sono stati ignorati i costi derivanti dall’obbligo di coordinare le politiche economiche, come in particolare il tasso di cambio. Tutto ciò avrà ripercussioni spiacevoli in futuro.

Atto terzo: Maastricht, un trattato per il bel tempo

Già l’entrata del Belgio e dell’Italia nella zona euro ha violato i criteri di Maastricht, poiché entrambi i paesi non soddisfavano le condizioni in merito alla politica fiscale. Per ragioni politiche però si sono chiusi due occhi. Il secondo colpo al Trattato di Maastricht è stato inflitto da Germania e Francia, quando nel 2003 arbitrariamente ne hanno indebolito in modo decisivo la credibilità. Le conseguenze di questo sviluppo avrebbero dovuto mostrarsi innanzitutto nei debiti statali e nella crisi greca, quando la zona dell’euro per così dire è stata trasformata in un’unione monetaria senza regole. Il vero problema è che la Grecia è stata accettata nella zona euro nel 2001 grazie a statistiche falsificate. Le aspettative della politica secondo cui la zona dell’euro sarebbe diventata una Comunità fondata sulla stabilità grazie alla responsabilità individuale degli stati membri ancorata nel trattato di Maastricht si è dimostrata essere un errore di valutazione.

Immagine: Fotolia, Glisic Albina

Immagine: © Fotolia, Glisic Albina

Atto quarto: l’euro, elemento di frattura

La discussione Grexit in realtà è iniziata già nella primavera del 2010 quando la Grecia, sotto la pressione del governo americano, della Francia, dell’FMI e della BCE, è stata sostenuta con un vasto pacchetto di aiuti. Le parole della Cancelliera tedesca che il 5 maggio 2010 aveva nuovamente insistito sull’osservanza della clausola «no-bail-out» (clausola di non-salvataggio) del Trattato di Maastricht rifiutandosi di impiegare un fondo di salvataggio, sono state rapidamente ignorate. Successivamente si è agito per mantenere la Grecia nella zona euro, poiché nel frattempo la dichiarazione di Angela Merkel «Se fallisce l’euro, fallisce l’Europa» era diventata una sorta di credo. Secondo l’opinione del precedente economista capo della BCE, Jürgen Stark, l’Europa si è cacciata in una posizione assurda per quanto concerne le tattiche di negoziazione, vulnerabile alle pressioni. Inoltre l’euro è diventato un elemento di divisone.

Atto quinto: la BCE, esperta nella gestione della crisi

Mentre la politica europea è passata in fretta da una riunione d’emergenza all’altra, la BCE è passata all’azione cercando di stabilizzare la zona euro in generale, e i paesi periferici in particolare. Così nel 2010 ha avviato il Securities Market Program (SMP), costringendo le banche centrali del sistema dell’euro a comprare titoli di Stato dei paesi in crisi. In seguito, nel 2012 è stato attuato il controverso OMT (Outright Monetary Transactions), un programma di acquisto di obbligazioni per i titoli statali che non è stato applicato, ma che tuttavia ha mostrato alcuni effetti. Nel frattempo sono stati azionati nuovamente prestiti d’emergenza per il sistema bancario greco (come i crediti ELA «Emergency Liquidity Assistance»). Così la BCE si è ritrovata in una scomoda posizione «sandwich». Da un lato deve approvare questi crediti. Dall’altro però essa controlla la solvibilità delle quattro grandi banche greche nel quadro della vigilanza bancaria. Infine, all’inizio del 2015 la BCE ha lanciato un programma di «Quantitative Easing», gravandosi così di numerosi compiti fiscali, che in realtà sarebbero riservati alla politica. Ciò non ha cambiato nulla al fatto che in un recente verdetto politico la CGUE ha approvato il corso di salvataggio della BCE per l’euro.

Epilogo

L’Europa si è costruita anche attraverso il processo di risoluzione di conflitti. Anche in questo modo i paesi hanno sviluppato legami stretti, faceva osservare Jean Monet. Si può immaginare che egli abbia previsto uno sviluppo diverso rispetto agli avvenimenti degli ultimi cinque anni. Dopo il referendum greco nessuno sa cosa succederà. Una cosa però è certa, come ha mostrato Avenir Suisse nel suo documento di discussione «Più sussidiarietà, meno falsa solidarietà – Un appello alla necessità di riforme nell’Unione Europea»: l’Europa non ha bisogno di nuove visioni armoniose e obiettivi utopici, bensì in primo luogo dell’uso corretto delle regole stabilite negli ultimi anni e di un ritorno alle sue funzioni essenziali. Solo così si potranno riguadagnare fiducia e credibilità, elementi di importanza primaria per il progetto dell’Unione Europea.