La previdenza per la vecchiaia è sulla bocca di tutti. Senza una riforma di fondo si dovrà far fronte a lacune gigantesche nel finanziamento delle assicurazioni sociali. Nel 2014 le uscite dell’AVS per la prima volta dal 1999 hanno superato le entrate. Secondo l’Ufficio federale di statistica (UST), entro il 2030 questi disavanzi raggiungeranno complessivamente un deficit di 50 miliardi di franchi. Alla luce dell’invecchiamento della popolazione ciò non meraviglia affatto. Presto i baby boomers (annate 1955-1964) andranno in pensione – con conseguenze gravose: mentre oggi per ogni pensionato si contano circa 3,5 persone attive, nel 2035 questo numero scenderà a 2,3. Parallelamente, entro il 2030 il numero di ultra 65enni aumenterà dal 30% al 40%.

Doppi dividendi

Quest’evoluzione è visibile da lungo tempo, e si sa che vi sono tre possibili leve azionabili: incremento delle entrate, riduzione delle uscite e aumento dell’età pensionabile. L’incremento delle entrate può essere ottenuto col pagamento di premi più alti, con il finanziamento fiscale o anticipando l’inizio dei versamenti. Queste misure però peserebbero sulla popolazione attiva, soprattutto sui giovani. I tagli alle spese sono sinonimo di una riduzione delle pensioni attuali, e inciderebbero quindi sui pensionati.

Un aumento dell’età pensionabile non ha questi svantaggi. Esso porta invece un doppio dividendo: entrate maggiori, poiché i contributi sono versati più a lungo, e spese minori poiché la rendita è percepita per un periodo più breve. Ciò vale sia per l’AVS sia per la LPP. L’aumento dell’età pensionabile colpisce soprattutto chi è prossimo al pensionamento. Se l’aumento dell’età pensionabile fosse introdotto a piccoli passi di due o tre mesi ogni anno, come già proposto da Avenir Suisse diversi anni fa, e se si addolcisse il passaggio per chi supera i 55 anni, questa misura, oltre a essere la più logica, sarebbe anche socialmente sostenibile.

Età pensionabile Svizzera e OCSE

 

Età pensionabile a 68 anni

Nel nostro grafico prevale la logica demografica (ed economica); esso mostra la speranza di vita per i 18 dei 34 paesi OCSE (oltre la metà) che hanno introdotto o approvato un’età di pensionamento di 67 anni o più, e per la Svizzera. Nel 2013 quest’ultima ha mostrato la più alta speranza di vita alla nascita (82,9) dopo la Spagna (83,2); nel 2011 ha addirittura dominato la classifica (82,8). Oggi solo il Giappone (83,4) supera la Spagna nell’OCSE. Tutti questi paesi avrebbero avuto poche ragioni di aumentare l’età pensionabile, eppure l’hanno fatto comunque. Perciò il sistema pensionistico deve finanziare in media solo circa 10 anni di pensione in Polonia, 13,5 in Danimarca, 14 in Germania o in Gran Bretagna e 15 in Francia o in Norvegia. In Svizzera gli anni da finanziare sono invece quasi 18.

Inversamente ciò significa che se la Svizzera si basasse sulla speranza di vita potrebbe aumentare l’età pensionabile a 68 anni, rimanendo comunque in una posizione migliore rispetto alla Francia e al suo Stato sociale o alla ricca Norvegia. Se si considera l’aspettativa di vita all’età di 65 anni, la faccenda risulta ancora più drammatica. In Svizzera (2014) essa è di 19,4 anni per gli uomini e di 22,4 anni per le donne. Tanti sarebbero quindi gli anni da finanziare se l’età di pensionamento rimanesse stabile a 65 anni.

Con il termine «età pensionabile» si intende l’età a partire dalla quale generalmente si può iniziare a percepire una pensione considerata ragionevole e sufficiente. Ovviamente è necessario un certo livello di flessibilità: una percezione anticipata deve implicare i tagli corrispondenti, una posticipata invece i relativi aumenti. E chiaramente vi saranno sempre più persone o categorie professionali da cui non ci si può aspettare un prolungamento della vita lavorativa. Ci si può tuttavia domandare se un poliziotto ginevrino – che va in pensione all’età di 58 anni – conti tra queste; è invece comprensibile il motivo per cui l’età pensionabile per chi lavora nel settore edilizio sia di 60 anni.

Piccoli passi nella giusta direzione

Un orientamento dell’età pensionabile in funzione della speranza di vita – che in pratica comporta sempre un relativo adeguamento dell’età pensionabile effettiva – potrebbe anche contribuire a risolvere una richiesta di una parte rilevante della popolazione, ovvero la riduzione dell’immigrazione. Un aumento di un anno libererebbe (anche se una volta sola) un’offerta di almeno 50’000 lavoratori indigeni, che conoscono bene i processi aziendali e che possiedono un bagaglio d’esperienza di grande valore. La condizione è tuttavia che le aziende tengano conto dei bisogni dei lavoratori più anziani, che gli impiegati siano flessibili in termini di statuti e di salari, e che lo Stato non adotti misure controproducenti come per esempio una protezione speciale contro i licenziamenti abusivi dei lavoratori più anziani.

Se già oggi l’età di pensionamento a 65 anni è fuori luogo, a maggior ragione continuerà ad esserlo in futuro. Secondo le previsioni dell’UFS, la speranza di vita (all’età di 65 anni) – e con essa anche la durata di versamento delle rendite – aumenterà di circa un anno e mezzo tra il 2020 e il 2035. In questo contesto l’aumento di un anno dell’età di pensionamento rappresenta solo un piccolo primo passo – ma pur sempre nella giusta direzione.

Questo articolo è stato pubblicato sulla Neue Zürcher Zeitung del 26.09.2015. 
Per gentile concessione della Neue Zürcher Zeitung.