«Primavera araba»: sotto questo titolo si è svolto il convegno autunnale per i fondatori e sostenitori di Avenir Suisse che tradizionalmente ha come focus temi di politica estera. Quattro relatori di prestigio, alcuni anche protagonisti di questi sviluppi, hanno valutato le prospettive dei paesi del Vicino e Medio Oriente: dalla Tunisia verso l’Iran. Tutti si sono mostrati preoccupati: l’intera regione vivrà ancora due o tre volte l’autunno e l’inverno prima che arrivi la primavera. I paesi europei dovrebbero sostenere questa regione, altrimenti vi è il pericolo di andare incontro a un circolo vizioso di crisi economica e instabilità politica.

Un Egitto islamico pare inevitabile

L’ingegnere ETH Naguib Sawiris, alle nostre latitudini conosciuto come il fratello del più noto Samih, lotta in Egitto per la democrazia e per un’economia di mercato sociale sul modello tedesco. Il suo «partito degli egiziani liberi» conta 130 000 membri e rappresenta quindi la più importante fazione secolare del Paese. Le aspettative di Sawiris riguardo al futuro del suo paese sono ambivalenti: in parte ottimiste perché crede che attraverso l’impegno del suo partito si possa evitare che l’Egitto diventi un paese totalmente islamico; dall’altra parte pessimiste perché teme che la mancata mobilizzazione di una buona parte della popolazione consegni la vittoria nelle mani degli islamici.

In Siria si rischia un conflitto tra sette

Ribal Al-Assad, cugino dell’attuale presidente, ha dovuto lasciare la sua Patria e vive ora in esilio a Londra dove ha fondato l’«Organisation for Democracy an Freedom in Syria». Assad ha tracciato un quadro del suo paese d’origine caratterizzato da una varietà di etnie e religioni, sottolineando le tensioni tra sciiti e sunniti e tra l’Iran e l’Arabia Saudita. L’opposizione dovrebbe quindi unirsi, ha detto. In caso contrario regnerebbe in Siria una minaccia di guerra tra sette.

Naguib Sawiris

Naguib Sawiris

Il terzo relatore, Christian Koch, direttore della sezione studi internazionali del «Gulf Research Center» di Dubai ha ricordato come le monarchie del Golfo godano ancora di un elevato grado di legittimità: la prosperità ottenuta grazie ai pozzi petroliferi andrebbe anche a beneficio della popolazione, i governanti avrebbero osato riforme sociali, economiche e in parte anche politiche e provvedono all’educazione, soprattutto delle donne.

Quando è cominciato il cambiamento radicale in Iran?

La domanda, legittima, sulle origini della primavera araba se l’è posta infine l’Ambasciatrice svizzera in Iran Livia Leu-Agosti che si è chiesta se le proteste sono state ispirate dalle elezioni iraniane nell’estate del 2009 o piuttosto dalla presa del potere degli islamisti sotto il regime di Khomeini in Iran nel 1979. In un caso, la primavera araba sarebbe più un movimento verso una maggiore democrazia, nell’altro più verso l’islamismo.

«L’Europa non si deve chiamare fuori»

L’effetto domino s’interromperà, pensano gli esperti presenti al convegno. I sovrani assoluti rimanenti ancora al potere, al contrario di quelli in Tunisia, Egitto e Libia, riusciranno a mantenere la loro funzione senza offrire cambiamenti radicali. Buone chance di superare la situazione critica le ha solo la Tunisia. Questo paese, che vive quasi esclusivamente di turismo, può contare su una società laica dove le donne occupano una posizione forte. Una minima probabilità di avvicinarsi alla libertà senza lo scoppio di una «primavera» in piena regola, gli esperti la danno al Marocco. Tuttavia, il Re che si è dimostrato aperto alla liberalizzazione, non può governare e allo stesso tempo possedere le maggiori aziende: egli dovrà rafforzare i partiti liberali secolari e impegnarsi per una maggiore democrazia e uno sviluppo dell’economia di mercato.

L’Europa non resterà immune agli sviluppi nel Nord Africa e nel vicino Oriente se questi non dovessero riuscire a trovare una soluzione pacifica in direzione della democrazia e dell’economia di mercato. «Come si svilupperanno i singoli paesi, non si può ancora dire. Vi è però da aspettarsi più democrazia, libertà e uguaglianza», ha rilevato Koch. Gli europei dovrebbero intervenire adesso e promuovere la democrazia e l’economia di mercato, hanno insistito i relatori. Perché se il progetto di progresso nei paesi arabi, con la sua popolazione giovane, dovesse fallire, potrebbe verificarsi una migrazione di massa verso l’Europa. «I governi europei stanno con le mani in mano», si è lamentato Sawiris. Egli ha quindi fatto appello al pubblico: «è nel vostro interesse investire oggi nella regione e creare occupazione per questi giovani».
Dopo la tavola rotonda «a tinte fosche», come rilevato da Gerhard Schwarz, direttore di Avenir Suisse, ci si può appellare solo al motto del teorico marxista Antonio Gramsci: «Bisogna opporre al pessimismo dell’intelligenza l’ottimismo della volontà».