In questi giorni la Svizzera festeggia i 50 anni di suffragio femminile e a prima vista non c’è di che inorgoglirsi, considerato che molte altre nazioni ci hanno preceduto di decenni. Ma attenzione: la Svizzera è stato il primo Paese dove la svolta è avvenuta alle urne, con una votazione popolare in cui la maggioranza al potere – gli uomini – ha deliberatamente abbassato le armi al termine di un lungo e laborioso processo democratico. L’approvazione del diritto di voto e di eleggibilità delle donne è la conquista storicamente più significativa della democrazia diretta negli ultimi cento anni, visto che ha permesso di raddoppiare in un sol colpo la base elettorale.

Potenziale inesplorato

Oggi a che punto siamo? Ovviamente – e per fortuna – i timori di chi a quei tempi osteggiava il diritto di voto femminile si sono avverati: le donne svizzere non si sentono più relegate in cucina o alle faccende domestiche e hanno allargato il loro campo d‘azione alla politica, dove la loro voce è diventata cosa ovvia a tutti i livelli della società. In seno al Consiglio nazionale la quota rosa tocca attualmente un impressionante 42%.

Nel corso dei mutamenti sociali le donne si sono fatte avanti anche nel mondo del lavoro, seppur con minor impeto: nonostante il 78,4% sia professionalmente attivo, in equivalenti a tempo pieno il loro tasso di attività (58,5%) si situa ben al di sotto di quello degli uomini (85,1%). In particolare ai piani alti il soffitto di cristallo è ancora una realtà, e stando ai dati del Schilling report la «diversità di genere» rimane un progetto generazionale: con una quota femminile del 10% nelle direzioni aziendali e del 23% nei Consigli di amministrazione (delle 100 maggiori società del Paese) la Svizzera annovera ancora un notevole potenziale di recupero anche nel raffronto europeo.

(ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv / Wolfgang Lindroos)

Molti ostacoli all’orizzonte

Come dovremmo procedere? Stando alle cifre nude e crude si potrebbe caldeggiare l’introduzione di quote per accelerare il processo di uguaglianza. Da un punto di vista liberale, tuttavia, imboccando questa via si creerebbero nuove ingiustizie.

Per ottenere una parità a tutti gli effetti sul mercato del lavoro sarebbe invece molto più utile smantellare i numerosi ostacoli legali e normativi che trattengono chi lavora per il secondo reddito – per la gran parte donne – da un impegno maggiore.

La tassazione congiunta dei redditi di ambo i coniugi non fa che cementare i vecchi ruoli, poiché il secondo reddito è soggetto a un’alta aliquota marginale d’imposizione e un aumento del grado di occupazione può sfociare addirittura in una flessione del reddito netto. Un’imposizione individuale sarebbe un notevole incentivo per l’attività lavorativa.

In aggiunta, nella previdenza per la vecchiaia ci sono alcune tare di cui varrebbe la pena liberarsi: la deduzione di coordinamento di 25’095 franchi nel secondo pilastro è all’origine di un calo sproporzionato degli averi a risparmio di chi lavora a tempo parziale. È inoltre difficile capire per quale motivo le vedove abbiamo diritto a una rendita anche dopo la raggiunta maggiore età dei figli, mentre per i vedovi il diritto è garantito soltanto in caso di figli in età scolastica.

Inoltre vi sono misure volte ad agevolare la conciliabilità tra lavoro e famiglia, ad esempio le offerte di posti nido, le scuole diurne o gli orari di lavoro flessibili.

La libertà rimane il fattore decisivo

Nella discussione sull’uguaglianza si rischia tuttavia di limitarsi troppo all’aspetto materiale. Non va invece dimenticato che per le donne impegnate in questa battaglia di conquista del suffragio femminile la posta in gioco era ben più alta: lottavano per la libertà e per il diritto alla partecipazione democratica. E soprattutto rivendicavano il diritto a una vita autodeterminata, con le stesse prerogative e opportunità di sviluppo riservate agli uomini. In primo piano non c’era tanto l’uguaglianza dei risultati, quanto il ventaglio di possibilità. Nelle loro convinzioni fondamentali le prime attiviste per i diritti delle donne non erano poi molto diverse da chi oggi, in molti Paesi del mondo, scende in piazza per chiedere libertà, ma purtroppo il loro impegno è stato ripagato per lungo tempo solo con ostracismo sociale.

Se si analizza con la massima coerenza la parità tra i sessi attraverso la lente della libertà, le misure necessarie appaiono subito chiare come il sole: le donne e gli uomini meritano gli stessi diritti e gli stessi doveri, niente di più, ma neppure una virgola di meno.

Pioniere della Svizzera moderna

La storia svizzera annovera molte donne che hanno lottato per la loro libertà molto prima dell’introduzione del diritto di voto, e negli ambiti più disparati della società. Con la pubblicazione nel 2014 del volume «Pioniere della Svizzera moderna» Avenir Suisse ha ritratto numerose donne che con la loro determinazione e perseveranza hanno lasciato un’importante eredità alle generazioni successive.