Roberto Giannetti, Corriere del Ticino: L’home working sta sempre più prendendo piede. Probabilmente una parte delle aziende in passato guardava con diffidenza a questa modalità di lavoro. Oggi qual è la posizione del mondo economico elvetico?

Marco Salvi: «Il telelavoro era già in crescita prima della pandemia, ma la sua diffusione è stata – per forza maggiore – accelerata nelle ultime settimane. L’anno scorso solo il 5% degli occupati svolgeva più del 50% dei propri compiti lavorativi da casa con il computer. Ora siamo ben oltre il 25%. Le remore delle imprese non sono tanto dovute alla mancanza di controllo quanto alle difficoltà di coordinare il telelavoro. Nelle nostre aziende la produzione in team rimane essenziale. Il telelavoro è adatto ad un tipo di produzione individuale. Un altro problema è legato agli orari d’apertura al pubblico. Inoltre, in molte professioni la produttività del lavoro è legata all’uso di macchine e impianti molto specializzati. Insomma, non si può ricreare un laboratorio o una fabbrica in ogni casa».

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’home working? E in quali settori è possibile utilizzarlo maggiormente?

«In tempo normale, il vantaggio principale è la flessibilità. Ognuno può decidere come e quando lavorare. Ciò facilita la conciliazione tra famiglia e lavoro, il che favorisce soprattutto l’impiego femminile. Ovviamente, se le scuole sono chiuse, le condizioni non sono ideali. Con il telelavoro si risparmia poi tempo evitando il quotidiano tragitto casa-lavoro. Il telelavoro è più facile nei servizi, soprattutto nelle professioni maggiormente qualificate. Secondo le nostre stime, il 37% dei lavoratori altamente qualificati svolge una professione con possibilità di telelavoro, mentre tra i meno qualificati solo il 10% potrebbe in teoria ‘telelavorare’ da casa».

L’home working potrebbe avere vantaggi anche per la collettività nel suo insieme? Quali?

«Uno dei vantaggi principali l’ho già evocato: la parità tra uomo e donna, o piuttosto tra uomini e madri. Sono soprattutto quest’ultime a patire della mancanza di flessibilità temporale visto che continuano a svolgere la maggioranza dei compiti educativi. Questi obblighi influenzano oggi la scelta del lavoro e riducono le loro possibilità di carriera».

Quali sono gli ostacoli da superare per un maggior utilizzo dell’home working?

«L’ostacolo maggiore è legato al tipo di produzione. In certi settori quali la ristorazione, il turismo, i servizi alle persone, l’industria ecc. il telelavoro non è un’opzione. Invece nell’informatica, nelle banche e assicurazioni, nella attività legali stimiamo che fino all’80% degli occupati potrebbero in linea di massima lavorare da casa. Il progresso tecnologico e l’evoluzione della nostra economia, orientata ai servizi e al ‘knwoledge worker’, rendono però il telelavoro sempre più possibile.

A vostro avviso quali sono le misure per rendere più efficiente questo modo di lavorare? Lo Stato può giocare un ruolo nel renderlo più attraente per tutti i partner sociali?

«Certamente. Ad esempio, la legge sul lavoro pone limiti al telelavoro perché impone dei ritmi ‘da fabbrica’, con pause e tempi di riposo fortemente regolamentati. Bisogna riformarla, soprattutto nell’interesse dei lavoratori stessi. Come ho detto, le imprese sono piuttosto restie al telelavoro».

Il fenomeno è stato spinto dall’epidemia di coronavirus, che sta contribuendo a rompere qualche tabù. In che misura l’home working resterà dopo che la pandemia sarà passata?

«Avevamo dei costi fissi che frenavano il passaggio al telelavoro – ora questi costi non ci sono più. Non penso quindi che torneremo alla situazione pre-pandemia. Sono convinto che almeno una giornata telelavoro alla settimana diventerà prima o poi una consuetudine del nostro mercato del lavoro».

Questo intervista è stata pubblicata sul Corriere del Ticino del 9 maggio