I politici esperti in formazione e i rettori delle università svizzere si irritano nei confronti dei molti studenti stranieri, soprattutto germanici, perché essi gravano sul budget senza che i loro Stati di provenienza contribuiscano al finanziamento del loro studio. Questo contrasta col trattamento riservato agli studenti svizzeri provenienti da cantoni non-universitari per i quali nell’ambito dell’Accordo intercantonale delle università del 1997, il cantone d’origine versa un contributo annuo. Tali importi forfettari variano da circa 10.000 a 49.000 Fr. Così facendo i cantoni non-universitari contribuiscono annualmente con 480 milioni di franchi svizzeri a circa il 9% delle spese universitarie svizzere (senza la ricerca di base).

Una proposta simile, dove anche i Paesi di provenienza degli studenti stranieri sarebbero invitati a versare un contributo, non sarebbe poi così campata in aria. Purtroppo questa via cela qualche difficoltà perché prima occorre siglare degli accordi tra gli Stati. E proprio nel caso di Stati membri dell’UE si presentano problemi nell’ambito degli accordi sulla libera circolazione delle persone. Inoltre, sulla scia di questa decisione, gli studenti svizzeri nei Paesi confinanti (dove le rette sono comparabili) potrebbero venire discriminati. Così facendo la Svizzera andrebbe a creare ulteriori attriti con l’Unione Europea.
La rivendicazione dei rettori universitari e dei politici di chiamare alla cassa i Paesi di provenienza, visto il numero crescente di studenti stranieri, pare legittima. Tuttavia, si pone la questione sul motivo per cui ci si è irrigiditi solo su questa proposta e non si è presa in considerazione la soluzione più ovvia: l’aumento delle tasse universitarie per tutti gli studenti. Ciò consentirebbe di cogliere tre piccioni con una fava:

  • In primo luogo andrebbero a cadere dispendiose trattative con i Paesi esteri. E comunque, in questo momento di crisi del debito, non ci sarebbe praticamente nessuno Stato dell’UE in grado di ricompensare la «ricca» Svizzera.
  • Secondariamente, si potrebbe evitare una spiacevole discriminazione tra studenti svizzeri e stranieri.
  • Terza opzione: grazie ad un contributo più importante da parte degli utenti (metodo propagato anche nel settore dei trasporti), si potrebbe finalmente «fare sul serio» a livello di formazione a livello terziario. Mentre la frequenza scolastica e la copertura dei costi d’istruzione di base coperta dallo Stato convince anche a livello economico, a livello terziario si nutre qualche dubbio. La formazione universitaria non è da considerare come un semplice bene pubblico che lo Stato mette a disposizione gratis, visto che è il singolo a raggiungere un alto reddito individuale.

Questa introduzione sarebbe pure un’opportunità per le singole università di meglio posizionarsi in un contesto di mercato globale dell’istruzione grazie ad un pacchetto di prestazioni autonomo visto che l’impostazione delle tasse universitarie è una prerogativa del Cantone o dell’Università. Purtroppo quest’autonomia viene sfruttata poco perché probabilmente delle alte tasse universitarie farebbero a pugni col «political correctness» vigente. Nell’ambito di una concorrenza universitaria globale e soprattutto di Bologna quali sono quindi gli argomenti restanti contro questa misura?