Su cosa si basa Avenir Suisse per dire che i timori di pressioni salariali si sono rivelati infondati?

A livello svizzero sono stati fatti molti studi e non sono state riscontrate sistematiche pressioni salariali a causa della libera circolazione. Anzi, l’occupazione e le retribuzioni sono aumentate, gli stipendi bassi proporzionalmente di più.

In Ticino però la situazione non può essere certo paragonata a quella nazionale.

Il Ticino è un caso a parte. Rispetto al 2002 il numero di frontalieri è quasi raddoppiato. Non siamo contrari al principio delle misure d’accompagnamento in quanto tale, il cui scopo, come dice la parola, era appunto di accompagnare la libera circolazione verso un nuovo equilibrio. Il problema è che vengono sempre aggiunte misure e che l’accompagnamento si sta facendo cronico e viene usato come un pretesto per introdurre nuove regolamentazioni del mercato del lavoro, ad esempio sotto forma di salari minimi.

Ma l’introduzione, dal 2009, di ben 19 contratti normali di lavoro risponde a un problema reali di dumping riscontrato sul terreno.

La crisi economica italiana ha probabilmente contribuito alle difficoltà dell’economia ticinese più della libera circolazione. Se guardiamo gli studi, il maggior impatto della libera circolazione è stato riscontrato sui salari del personale qualificato, non su quelli della manodopera meno qualificata. Se consideriamo gli effetti economici documentati, bisognerebbe quindi intervenire sui salari più elevati. Quelle d’accompagnamento sono misure politiche. Primo, perché sono fatte per chi ha già un lavoro, non per chi vuole accedervi. La diffusione di salari minimi a tappeto – questo lo vediamo anche in altri Paesi – è un ostacolo importante all’occupazione giovanile e accelera le delocalizzazioni all’estero. In secondo luogo c’è un effetto negativo di tipo corporativista, ormai evidente in Ticino. Datori di lavoro e sindacati si ritrovano d’accordo per limitare la concorrenza, non solo dall’estero, anche dal resto della Svizzera. A farne le spese sono poi i consumatori. Bisogna valutare questi effetti negativi prima di adottare ulteriori misure.

Ma le misure collaterali non hanno anche la funzione di rendere più accettabile la libera circolazione? Non a caso, in Ticino l’opposizione a quest’ultima è molto forte.

È per questo che sono state adottate. Ma il rischio, ripeto, è l’uso “distorto” che se ne fa. Nel lungo termine, a livello svizzero, si profila un aumento della disoccupazione strutturale. Queste misure causano effetti collaterali. Nessuno a livello politico osa dirlo, ma è nostro compito parlarne. Non c’è la prova che queste misure funzionano. Le si prende per buone sperando, a torto, che abbiano un effetto positivo.

C’è la prova che senza queste misure le cose andrebbero meglio?

È risaputo che ad esempio salari minimi troppo elevati creano problemi di accesso al mercato del lavoro e sono una politica sociale poco mirata. Lo abbiamo visto in Francia, in Italia e in altri mercati del lavoro. In Ticino il rischio reale di questa evoluzione c’è.

Il Ticino è il cantone con il maggior numero di controlli sui salari. Si prevede personale aggiuntivo. Per voi quindi si va nella direzione sbagliata?

Il nostro ragionamento non è incentrato sulla burocrazia o sui costi e benefici di questi controlli. In confronto ai problemi di accesso dei giovani al mercato del lavoro ci sembrano problemi secondari.

Dite di essere favorevoli ad una maggiore flessibilizzazione del mercato del lavoro. Ma è proprio questo che i sindacati vogliono combattere.

La forza del mercato del lavoro svizzero è la flessibilità. Se questa venisse a mancare perderemmo un atout importantissimo. I cambiamenti in atto, anche sulla spinta della tecnologia, richiedono un mercato del lavoro in grado di adeguarsi.

Intervista: Giovanni Galli

Quest'intervista è stata pubblicata sul quotidiano «Corriere del Ticino» del 16 maggio 2017.