Plusvalore
Meglio sfruttare le opportunità che offre il lavoro su piattaforma invece di combattere ad oltranza il cambiamento
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Marco Salvi
Non freniamo il lavoro flessibile
PlusvaloreMeglio sfruttare le opportunità che offre il lavoro su piattaforma invece di combattere ad oltranza il cambiamento
In Svizzera, i tassisti che utilizzano la piattaforma Uber saranno considerati come dipendenti e non come lavoratori autonomi. Infatti, la settimana scorsa Il Tribunale federale ha confermato una precedente decisione in tal senso del Tribunale cantonale di Ginevra. Sindacati e governo ginevrino si sono dichiarati molto soddisfatti. Che a centinaia di lavoratori sia stato impedito, almeno temporaneamente, di svolgere il proprio lavoro sembra essere di minore importanza. A seguito della decisione, Uber assumerà i propri autisti a Ginevra indirettamente attraverso aziende di trasporto.
Problema risolto quindi? Solo superficialmente. La questione dell’indipendenza degli autisti Uber è stata trattata fino ad ora esclusivamente dal lato legale. Tuttavia, con la trasformazione del mondo del lavoro tramite il cambiamento digitale si fa sempre più pressante anche un’azione politica. È probabile che in futuro le piattaforme digitali sfidino ulteriormente i fornitori tradizionali di servizi e creino nuovi posti di lavoro a metà strada tra il lavoro autonomo e quello dipendente. Il diritto del lavoro e della previdenza sociale non sono al passo di questa evoluzione.
Classificare dogmaticamente ogni lavoro su piattaforma come precario è troppo riduttivo. Queste nuove forme di lavoro offrono notevoli possibilità di (re)integrazione a chi è più svantaggiato sul mercato del lavoro tradizionale, ad esempio perché non dispone di sufficienti competenze linguistiche, o a chi è alla ricerca di maggiore flessibilità. A questo proposito, è ironico che siano proprio gli ambienti che più hanno sposato la causa di una migliore conciliazione tra lavoro e vita familiare a gettarsi anima e corpo contro le nuove forme di lavoro flessibile.
Un’ulteriore prova dei benefici della flessibilità oraria è fornita da dati raccolti a Ginevra stessa, dove Uber Eats – il servizio delivery di Uber – già dal 2020 ha assunto tramite una società terza i propri corrieri. Da allora i corrieri godono di una sicurezza sociale più ampia, ma lavorano con turni meno flessibili. Ebbene, ciò sembra aver portato un numero considerevole di loro a rinunciare a lavorare.
La rigida dicotomia tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti nel diritto del lavoro sta diventando sempre più anacronistica. Forse è venuto il momento di considerare una terza via – chiamiamola quella del «lavoratore autonomo dipendente». Questo status combinerebbe una protezione previdenziale più generosa di quella che conoscono oggi gli indipendenti, ma con ampie libertà contrattuali, soprattutto in materia di flessibilità dell’impiego. Insomma, la Svizzera farebbe bene a ritrovare la volontà di riforme e a considerare finalmente i cambiamenti sociali non come un rischio, ma come un’opportunità.
Questo podcast è stato pubblicato il 13.06.2022 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Plusvalore
La disparità dei redditi in Svizzera è inferiore alla media europea. Negli ultimi 25 anni non è cresciuta.
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Marco Salvi
Ricchi ed eguali
PlusvaloreLa disparità dei redditi in Svizzera è inferiore alla media europea. Negli ultimi 25 anni non è cresciuta.
È un luogo comune: le buone notizie faticano a raggiungere le prime pagine dei giornali. C’era da aspettarsi quindi che il nuovo rapporto dell’Ufficio federale di statistica (UFS) sull’evoluzione delle disuguaglianze di reddito in Svizzera non venisse particolarmente gettonato dai media. Sì, perché questa evoluzione – nella sua mancata spettacolarità – è assai positiva.
La ricchezza della Svizzera non è soltanto proverbiale: a livello europeo, solo in Norvegia e Lussemburgo si registra un reddito mediano più elevato. In termini di potere d’acquisto, il reddito mediano svizzero supera del 20% quello tedesco, e ciò nonostante l’alto livello dei prezzi nel nostro paese. (Da notare che al contrario del reddito medio, influenzato da pochi redditi molto elevati, quello mediano meglio rappresenta la situazione nel mezzo della distribuzione dei redditi).
E che ne è, appunto, delle disuguaglianze? Ebbene, il rapporto mostra come in Svizzera non siano solo le elite a godere di un elevato tenore di vita ma bensì ampi strati della popolazione. Le disuguaglianze di reddito vi si attestano al disotto della media europea, anche se si trovano paesi «benestanti», quali i paesi nordici o l’Austria, con distribuzioni ancora più egualitarie.
Ma il fatto forse più sorprendente riguarda l’evoluzione delle disparità – o, meglio, la loro mancata evoluzione. Stando alle stime dell’UFS, non si sono praticamente registrati cambiamenti al riguardo da 25 anni a questa parte, nonostante i mutamenti dell’economia e le varie turbolenze che ha dovuto affrontare.
Quali le ragioni per questa stabilità esemplare? La prima, debitamente rilevata dal rapporto, riguarda il sistema di redistribuzione. Imposte e prestazioni sociali hanno premesso di compensare un leggero allargamento della disparità dei redditi primari (i redditi lordi, ante imposte). Altrettanto importante è stata però la relativa stabilità dei redditi primari stessi. Soprattutto i redditi da lavoro rimangono da noi tra i più egualitari al mondo.
Ciò conferma l’importanza fondamentale del mercato del lavoro per l’evoluzione delle disuguaglianze. È la mancanza di lavoro a coincidere spesso con la povertà. Un mercato del lavoro integrativo è invece garante di parità. Così, l’alto tasso d’occupazione in Svizzera contribuisce a mantenere le differenze di reddito a un livello accettabile socialmente, anche se, ovviamente, non le elimina del tutto.
Questo podcast è stato pubblicato il 30.05.2022 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Plusvalore
dal 02.05.2022 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due
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Marco Salvi
Non strapazziamo il partenariato sociale
Plusvaloredal 02.05.2022 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due
Come vuole la tradizione, anche questo primo maggio è stato un momento di discorsi, manifestazioni più o meno pacifiche e l’occasione per riflettere sulle condizioni del partenariato sociale. Quest’ultimo è certamente un elemento importante del nostro benessere. Caratteristica saliente del modello elvetico di partenariato sono le negoziazioni bilaterali: le condizioni di lavoro di un settore vengono discusse direttamente tra lavoratori e datori di lavoro, spesso a livello regionale e senza l’intervento dello stato. Questo modello quasi secolare ha contribuito a mantenere la stabilità delle relazioni di lavoro.
Le sfide, però, non mancano. Anche il modello svizzero deve adeguarsi agli importanti cambiamenti strutturali che si osservano sul mercato del lavoro. Mentre nel 1960 il 29% della forza lavoro era attiva in un sindacato, nel 2020 questa proporzione era solo del 13%, una diminuzione principalmente dovuta al declino relativo dell’industria e alla parallela terziarizzazione dell’economia.
Ciononostante, i sindacati svizzeri sono riusciti a mantenere – se non addirittura rafforzare – il loro influsso sulla politica del lavoro. Ciò è dovuto principalmente all’importanza crescente dei contratti collettivi di lavoro (CCL), e soprattutto del ricorso sempre più frequente all’obbligatorietà generale. Questo strumento permette di estendere il campo di applicazione di un CCL a tutti i datori di lavoro di un settore in un cantone, obbligando tutte le ditte del ramo a rispettarne le disposizioni centrali, ad esempio i minimi salariali.
Così il numero di lavoratori sottoposti a un CCL è aumentato di quasi 850 000 unità tra il 1999 e il 2018, di cui circa 800 000 sono da mettere sul conto dell’obbligatorietà generale. Il fenomeno non si limita alle regioni di confine come il Ticino, con una parte importante di lavoratori frontalieri. Solo nel cantone di Zurigo, sono più di 40 i CCL in vigore dichiarati di portata generale.
Per i sindacati si tratta di evitare così il famigerato «dumping» salariale. Ma vi è un rovescio alla medaglia. Questo strumento, se abusato, può diminuire fortemente la concorrenza tra imprese, impedendo per esempio a nuove ditte di entrare sul mercato. Così facendo, si favoriscono le imprese più grandi, già stabilite, e generalmente meno innovative – il che va a tutto scapito di consumatori (che devono sopportare prezzi più elevati) e della concorrenzialità internazionale della nostra economia.
I sindacati svizzeri mantengono imperterriti l’obiettivo di ampliare la copertura dei CCL, e vogliono ridurre ulteriormente gli ostacoli alla dichiarazione di applicabilità generale. In ciò trovano spesso porte aperte negli uffici cantonali del lavoro e negli esecutivi cantonali. Certo, il modello di partenariato sociale elvetico rimane superiore ai diktat statali ed è preferibile a salari minimi nazionali o cantonali. Tuttavia, esso non va nemmeno strapazzato.
Questo podcast è stato pubblicato il 02.05.2022 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.