Logib, il modello statistico che la Confederazione intende usare nella lotta contro le discriminazioni salariali, è un lupo travestito da agnello. Se tutto procede secondo i piani, ogni azienda con più di 50 impiegati dovrà presto sottoporsi a un test statistico per determinare se rispetta il principio «stesso lavoro, stesso stipendio».

Come funziona Logib? Si tratta di un modello statistico elementare in cui tutte le differenze salariali tra gli impiegati di un’azienda sono attribuite a una manciata di caratteristiche personali e del posto di lavoro: età, durata della formazione, anzianità, livello di qualifiche richieste e posizione professionale. Le differenze salariali tra impiegati uomini e impiegate donne che non si lasciano spiegare con queste variabili sono automaticamente interpretate da Logib come prova di una discriminazione salariale da part dell’impresa.

Risultati distorti

Nella breve lista delle variabili considerate da Logib mancano fattori importanti, primo fra tutti l’esperienza professionale. Le donne dispongono in media di un’esperienza professionale più limitata rispetto agli uomini della stessa età: esse lavorano spesso a tempo parziale e interrompono la carriera professionale in caso di maternità. Nascono così differenze salariali che vengono erroneamente identificate come discriminatorie da modelli come Logib. In verità le aziende tengono semplicemente conto delle differenze di esperienza e produttività.

Ma non è tutto. Supponiamo che in un’azienda lavorino esclusivamente giovani meccanici e contabili donne più anziane. Sarebbe errato voler testare le discriminazioni salariali basandosi esclusivamente su dati salariali interni, poiché le caratteristiche delle donne divergono troppo da quelle degli uomini. Una stima delle disuguaglianze salariali a livello aziendale sarebbe lecita solo qualora vi fosse un numero sufficiente di contabili uomini e meccaniche donne. In Svizzera, dove molte professioni continuano ad essere fortemente segregate secondo il sesso, questa situazione è più l’eccezione che la regola. Per esempio, nonostante i numerosi sforzi da parte delle industrie, ancora il 95% degli apprendisti polimeccanici sono uomini. Certo, occorre allontanarsi da modelli e archetipi di ruoli maschili e femminili imposti dalla tradizione. Tuttavia punire le imprese per la carenza di meccaniche, programmatrici o uomini aiuto-medico, come fa Logib, è l’approccio sbagliato.

Punire le imprese per la carenza di meccaniche, programmatrici o uomini aiuto-medico, come fa Logib, è l’approccio sbagliato. (Immagine: Fotolia)

Punire le imprese per la carenza di meccaniche, programmatrici o uomini aiuto-medico, come fa Logib, è l’approccio sbagliato. (Immagine: Fotolia)

Un rischio per le donne stesse

Modelli statistici come Logib comportano grossi rischi non solo per le imprese ma, paradossalmente, anche per le donne stesse. Quale azienda vorrà essere ufficialmente marchiata come «discriminante» solo perché ha assunto collaboratrici che sono state lontane a lungo dal mercato del lavoro e che secondo Logib dovrebbero guadagnare di più? Le aziende preferiranno piuttosto non assumere donne, soprattutto se già in là con gli anni.

La necessità di un test statistico inoltre è meno urgente di quanto la Confederazione immagini. Su un mercato del lavoro flessibile le donne sottopagate rispetto a ciò che producono presto o tardi cercheranno un nuovo posto di lavoro. Altre aziende accolgono volentieri e compensano meglio queste collaboratrici produttive. La struttura salariale già oggi è «testata» continuamente, non da Logib, ma dal mercato del lavoro stesso.

Questo articolo è stato pubblicato nel numero di novembre 2015 della rivista «Ticino Business». Per gentile concessione di «Ticino Business».