Nella discussione riguardante l’iniziativa contro l’immigrazione di massa un argomento in particolare ha giocato un ruolo molto importante, addirittura forse centrale: gli svantaggi dell’afflusso di manodopera straniera non sarebbero sufficientemente compensati dai vantaggi. Il concetto di «stress da densità» ha così iniziato a circolare, soprattutto in Svizzera tedesca. La crescita azionata dall’immigrazione graverebbe l’ambiente e le infrastrutture in modo talmente forte da non lasciarsi in alcun modo giustificare dall’aumento del benessere. Quest’ultimo sarebbe infatti pressoché inesistente. Certo, dall’introduzione della libera circolazione delle persone con l’UE la Svizzera ha visto crescere la sua economia, ma solamente nel suo insieme, e non pro capite. In altre parole: l’immigrazione non migliorerebbe la situazione economica dei residenti svizzeri, e anzi ne peggiorerebbe la qualità di vita.
Crescita invisibile
Indipendentemente dal fatto che sia impossibile sapere con precisione se il prodotto interno lordo (PIL) pro capite sarebbe diminuito senza immigrazione, l’affermazione soffre di una definizione troppo stretta della crescita economica. Gli individui possono infatti «consumare» in due modi differenti i guadagni in benessere garantiti dall’aumento di prosperità. Essi possono comprare un maggior numero di beni e servizi, oppure possono rimanere fermi al livello di consumo originale e quindi lavorare meno. La seconda opzione non è visibile nel PIL.
Il grafico riportato accanto, tratto dal libro «Bilateralismo – what else?» (Schellenbauer/Schwarz, Zurigo 2015), prova a fare luce su questo tema. Esso scompone la crescita in diverse sottoparti: produttività oraria, disoccupazione, tasso di occupazione della popolazione attiva, quota della popolazione attiva, tempo medio di lavoro delle persone attive. Sommando questi fattori si ottiene la crescita reale del PIL pro capite, e in realtà quest’ultima tra il 1992 e il 2014 in Svizzera non è stata particolarmente elevata. Con lo 0,9% di progressione annuale la Svizzera si posiziona dietro ai suoi paesi limitrofi quali Austria (1,4%), Germania (1,2%) e Francia (1%).
Tuttavia la situazione migliora se si tralascia il periodo tra il 1992 e il 1996 (-0,4%), che in Svizzera ha portato all’introduzione di riforme strutturali. Tra il 1997 e il 2002 la Svizzera ha raggiunto una crescita reale annua dell’1,6%, e tra il 2003 e il 2008 ha brillato con l’1,9%. E anche gli scarsi 0,2% tra il 2009 e il 2014 non erano poi così scarsi, se si pensa che si trattava di un periodo consecutivo alla crisi finanziaria, in cui l’economia in molti paesi si è atrofizzata. In ogni caso dal 2010 la Svizzera si situa tra i leader in materia di crescita tra tutti i paesi dell’OCSE.
Fatta eccezione per il periodo boom tra il 2003 e il 2008 una parte dei guadagni di produttività è stata «inghiottita» da una diminuzione dell’occupazione, soprattutto da una riduzione del tempo di lavoro annuo. Questa tendenza è molto significativa tra il 1992 e il 1996. La produttività oraria è aumentata dell’1,3%, ma tutti gli altri indicatori hanno seguito una tendenza inversa. La parte di popolazione attiva sulla popolazione totale è diminuita, così come il tasso di attività (la parte di popolazione attiva o che cerca lavoro). A ciò si sono aggiunti una leggera crescita della disoccupazione e il calo del tempo di lavoro medio. L’insieme di questi fattori ha addirittura causato una diminuzione del valore aggiunto generato pro capite nonostante gli incrementi della produttività.
Stranieri laboriosi
Nel periodo di osservazione più recente salta all’occhio soprattutto la diminuzione del tempo di lavoro, ancora più importante del guadagno di produttività. La tesi della mancata creazione di ricchezza probabilmente si è formata durante questi ultimi anni. Una cosa è certa: senza l’aumento della quota di attivi nella popolazione il PIL pro capite sarebbe precipitato.
Su una media di molti anni la progressione della quota di attivi ha sempre avuto un impatto positivo sulla crescita – fatta eccezione per gli anni Novanta. Ciò è dovuto anche agli immigrati che mostrano un tasso di attività maggiore rispetto alla popolazione residente. E un’ulteriore leva della crescita approfitta dell’arrivo degli immigrati: siccome in media sono più giovani rispetto alla popolazione del Paese, essi frenano la riduzione della parte della popolazione attiva.
Tempo libero invece di denaro
Si può obiettare che la riduzione del tempo lavorativo illustrata nel grafico si produce spesso in modo involontario, come reazione a una domanda di lavoro insufficiente. Questo è sicuramente il caso qua e là, ma la riduzione volontaria del tempo di lavoro prevale. Ciò è confermato dal bassissimo tasso di disoccupazione in Svizzera. Inoltre esistono altre prove concrete in questa direzione. I datori di lavoro stranieri a volte si sorprendono dell’elevato numero di persone nel nostro paese che oggi preferisce il tempo libero al denaro, scegliendo di lavorare a tempo parziale, optando per vacanze piuttosto che per un regalo per gli anni di servizio effettuati oppure prendendo vacanze non pagate. La crescita lo permette: ci si può permettere di più lavorando meno.
E così si chiude il cerchio: se si ignora questo tipo di crescita che ci fa consumare meno impiego e più tempo libero si sottostima la forza dell’immigrazione quale motore della crescita.
Potete trovare ulteriori informazioni su questo tema nella pubblicazione «Bilateralismo – what else?».
Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2015 sulla «Neue Zürcher Zeitung».