Recentemente, durante un talk show televisivo, Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha usato parole insolitamente dure contro un gruppo di economisti tedeschi. La loro colpa? Avere usato modelli economici per stimare l’impatto per l’economia tedesca di un embargo sul gas russo.
Lo scontento di Scholz non era indirizzato direttamente alle conclusioni dello studio (che stima il costo dell’embargo a 3% del PIL, una perdita considerevole ma non catastrofica), ma bensì al metodo. Per Scholz «è irresponsabile impiegare modelli matematici che non hanno mai funzionato veramente» per affrontare problemi tanto fondamentali per il futuro di un paese. Per il cancelliere tedesco i modelli degli economisti sono inutili perché troppo astratti: «Calcolare è una cosa, un’altra è sapere dove passano i gasdotti, dove sono i terminals e come funziona veramente l’industria del gas», ha aggiunto.
I rimproveri del cancelliere non sono stati accolti bene dagli economisti. Secondo loro illustrano due pregiudizi tanto errati quanto ricorrenti nei confronti delle scienze economiche, e della scienza in generale.
Il primo riguarda la formalizzazione matematica. Qui Scholz prende spunti da coloro che trovano l’economia praticata oggi nella stragrande maggioranza delle facoltà di scienze economiche troppo teorica e astratta. Ma la critica è infondata. Al contrario: la moderna scienza economica è in grado di rappresentare molto meglio relazioni complesse. Per esempio, non presuppone che i mercati siano perfetti o che le persone agiscano sempre razionalmente.
Il secondo punto riguarda il ruolo della scienza nelle decisioni politiche – che si tratti della pandemia, del cambiamento climatico o, appunto, di previsioni economiche. Certo, le analisi non sono sempre totalmente prive di giudizi di valore. Ma come negli affari, una sana concorrenza rimane il migliore garante di qualità: ad altri ricercatori il compito di evidenziare e correggere eventuali parzialità ideologiche.
Le previsioni saranno sempre caratterizzate da incertezze intrinseche – in parte perché la risposta politica alle previsioni cambia le premesse stesse sulle quali queste previsioni si basavano. Tocca alle donne e agli uomini politici valutare queste incertezze e decidere. La responsabilità ultima non spetta ai ricercatori, anche se durante la pandemia alcuni hanno cercato di convincerci del contrario.
La domanda fondamentale da porsi è invece questa: i modelli degli economisti permettono o meno di migliorare le decisioni dei politici? La risposta è quasi sempre positiva. Ignorare consapevolmente la conoscenza aggiuntiva generata dai modelli – come sembra volerlo fare Scholz – è un segno che i risultati dei modelli non si accordano con la propria visione del mondo.
Questo podcast è stato pubblicato il 4.4.2022 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Plusvalore
Non vi sono contromisure mirate alle riforme imposte alla Svizzera in materia di tassazione delle imprese. Ciò non ci condanna però alla passività
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Marco Salvi
Imposta minima OCSE: un rospo da ingoiare
PlusvaloreNon vi sono contromisure mirate alle riforme imposte alla Svizzera in materia di tassazione delle imprese. Ciò non ci condanna però alla passività
La settimana scorsa il Consiglio federale ha avviato le consultazioni relative all’introduzione di un’imposta minima di 15 per cento sui benefici delle imprese. Con questa ennesima riforma dell’imposizione delle imprese, la Svizzera vuole (o piuttosto: deve) adeguarsi alle nuove norme in materia dettate dal G20 tramite l’OCSE.
L’imposta minima colpirà in primo luogo le filiali di multinazionali straniere nel nostro paese, insediatesi in gran numero durante gli ultimi venti anni. Anche il Ticino è toccato direttamente: pensiamo solo all’industria della moda che vi risiede in parte per motivi fiscali e genera un indotto notevole.
La misura più sostanziale proposta dal Consiglio Federale è tanto semplice quanto scontata. Laddove l’imposizione di un’impresa multinazionale non raggiungesse i 15 per cento imposti dall’OCSE, sarà prelevata dalla Confederazione un’imposta integrativa, poi riversata ai Cantoni. Così si vuole evitare che siano paesi terzi ad intascare il gettito supplementare.
Secondo stime dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), l’imposta aggiuntiva potrebbe generare fino a due miliardi e mezzo di entrate all’anno, il che rappresenta un aumento di più del dieci percento delle entrate relative all’imposta sui benefici. Questo aumento sarà inoltre concentrato su qualche migliaio di filiali di imprese multinazionali estere stabilite in Svizzera e su poche centinaia di multinazionali svizzere.
Molti esperti temono che una parte sostanziale delle filiali straniere potrebbe a medio o lungo termine lasciare la Svizzera, visto che il livello favorevole di tassazione è una delle ragioni principali per la loro presenza. E così gli esperti hanno proposto una lunga lista di misure da prendere per cercare di frenare le delocalizzazioni.
Nessuna di queste misure convince però – perché nessuna è abbastanza mirata. Ad esempio, c’è chi propone di ridurre le aliquote massime dell’imposta sul reddito delle persone. Ma ciò non avrebbe che un effetto marginale sulla decisione delle imprese di rimanere o meno. Esse, infatti, non mantengono effettivi di personale importanti nel nostro paese, limitandosi a posizioni decisionali – pagate certo molto bene, ma di poco conto se confrontate ai costi globali delle imprese.
Una misura tra le più specifiche sarebbe quella di ridurre l’imposizione dei dividendi. I benefici delle imprese vengono oggi imposti due volte, una prima volta a livello dell’impresa con l’imposta sui benefici e una seconda volta a livello degli azionisti. Perché non ridurre questa doppia imposizione, come già lo hanno fatto numerosi altri paesi? Ahimè, l’imposizione dei dividendi in Svizzera è appena stata ritoccata – ma verso l’alto. Un’inversione a U sembra improbabile.
Più importante ancora: la stragrande maggioranza degli azionisti delle imprese multinazionali con sede in Svizzera risiede all’estero e non ricaverebbe nessun vantaggio da una diminuzione dell’imposizione dei dividendi in Svizzera.
Ciononostante, il Consiglio Federale dovrebbe avere il coraggio di rimettere questo dossier sul tavolo. Certo, ciò non frenerebbe la partenza di imprese che si sono stabilite da noi principalmente per motivi fiscali. Ma a lungo termine rafforzerebbe l’attrattività imprenditoriale svizzera e la capacità di investimento delle nostre imprese. E questo sarebbe tutto quanto di guadagnato.
Questo podcast è stato pubblicato il 21.3.2022 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Plusvalore
Un mercato del lavoro flessibile può assorbire i flussi di rifugiati dall’Ucraina
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Marco Salvi
Lasciateli venire – e lavorare
PlusvaloreUn mercato del lavoro flessibile può assorbire i flussi di rifugiati dall’Ucraina
Negli ultimi giorni già più di un milione di persone sono fuggite dall’Ucraina, soprattutto verso la Polonia dove la maggior parte di loro ha trovato rifugio in alloggi privati. L’ONU si aspetta fino a quattro milioni di rifugiati, ma potrebbero essere ancora di più.
In tutta Europa lo slancio di solidarietà è notevole. In Svizzera, i rifugiati provenienti dall’Ucraina verranno ammessi rapidamente, senza procedure d’asilo, fino a quando il bisogno di protezione cesserà. Probabilmente verrà loro concesso il permesso S (per persone bisognose di protezione), permesso che non è mai stato applicato in precedenza.
Questa forma di permesso di soggiorno prevede la possibilità di esercitare un’attività lavorativa. Ma ogni assunzione richiederà l’autorizzazione preventiva delle autorità. In concreto, ciò significa che un rifugiato potrà essere assunto solo se non si troveranno cittadini svizzeri (o stranieri già residenti in Svizzera) con qualifiche equivalenti. Inoltre, la mobilità professionale intercantonale sarà ristretta: una volta accettato da un cantone, il rifugiato non potrà lavorare in un altro. Sarà proibito, infine, il lavoro indipendente.
Con questo quadro regolamentare stretto si vuole, da un lato, sostenere l’indipendenza dei rifugiati; dall’altro, si tratta di evitare di mettere sotto pressione i salari dei residenti, specialmente di quelli meno qualificati.
Ma queste paure sono fondate? I rifugiati davvero sottraggono domanda di lavoro dai residenti? Molti economisti hanno indagato questa domanda, primo fra tutti il recente premio Nobel per l’economia, David Card. Card studiò l’impatto dell’arrivo improvviso nel 1980 di 60 000 rifugiati cubani sul mercato del lavoro di Miami. Questo e altri episodi (come l’afflusso di quattro milioni di rifugiati siriani in Turchia) permettono di analizzare empiricamente l’impatto dei flussi migratori sul mercato del lavoro.
Nel complesso, ci sono poche prove di una sostituzione della mano d’opera indigena con quella estera. Gli studi concludono che un aumento di 10 punti percentuali della quota di immigrati nella forza lavoro cambia il reddito dei nativi da -2% a +2% – insomma, di poco o niente. I mercati del lavoro dei paesi di destinazione sono abbastanza flessibili per assorbire i nuovi arrivati, soprattutto se viene dato loro il tempo necessario per farlo.
Finora la Svizzera non è stata in grado di eccellere nell’integrazione dei rifugiati sul mercato del lavoro. Il tasso di occupazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati è di circa il 40% cinque anni dopo il loro arrivo. Ciò mette la Svizzera nel mezzo del gruppo in un confronto europeo. In questo contesto, l’introduzione dello status S e la relativa rapida integrazione dei rifugiati nel mercato del lavoro svizzero sono da accogliere con favore. Lasciamoli venire, sì – ma lasciamoli anche lavorare.
Questo podcast è stato pubblicato il 7.3.2022 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Non passa oramai una settimana senza che qualcuno non ci avverta dell’insostenibile andamento dei prezzi immobiliari in Svizzera. L’ultimo ammonimento in data ci viene nientemeno che dalla FINMA, l’Autorità di vigilanza dei mercati finanziari. Nel suo «Monitoraggio dei rischi 2021», presentato la settimana scorsa, essa ha identificato i rischi più significativi per il settore finanziario, in base ai quali definire le priorità della sua attività di vigilanza. Ebbene, per la FINMA non fa dubbio che il rischio più elevato lo si riscontri al momento sul mercato immobiliare e ipotecario.
Su quali dati e osservazioni si basa questa presa di posizione? Vi è da un lato l’aumento imperterrito del volume dei prestiti ipotecari, cresciuti nonostante la pandemia e il corrispondente (lieve) calo dei redditi. Ma è soprattutto il rincaro dei prezzi delle abitazioni di proprietà a preoccupare il regolatore: questi sono saliti a livello nazionale di ben sei percento nell’arco di un solo anno. La crescita dei prezzi ha acquisito così un ulteriore slancio e la FINMA rileva uno scollamento sempre maggiore rispetto all’evoluzione dei redditi.
Questa in sostanza le analisi della FINMA. E quasi mi viene voglia di dire: tutto qui? Sì, perché a fronte di questi indizi a carico, mi pare che gli analisti della FINMA omettano di menzionare alcune importanti «circostanze attenuanti». La prima riguarda la situazione patrimoniale dei proprietari di case nel nostro paese. Infatti, questa situazione è fortemente migliorata durante gli ultimi due decenni, tanto che l’indebitamento ipotecario, se rapportato non ai redditi ma al valore delle case, non è affatto cresciuto, ma è anzi in continua diminuzione.
Inoltre, lo scollamento dei prezzi immobiliari rispetto ai redditi (tanto temuto dalla FINMA) può essere spiegato in gran parte dalla forte diminuzione dei tassi d’interesse. Per un affitto dato, il dimezzamento dei tassi ipotecari implica un raddoppio del valore dell’immobile. Considerati da questo angolo di vista, l’aumento del 40 percento dei prezzi delle case nell’arco degli ultimi 10 anni non sembra poi così esagerato.
E se infine la pandemia – come lo rileva la FINMA stessa –ha accresciuto l’importanza della situazione abitativa personale ciò è piuttosto un segno che l’andamento dei prezzi immobiliare è da ricondurre alle valutazioni fondamentali degli acquirenti piuttosto che a delle fantasie da bolla speculativa. Insomma, se bolla ci sia o meno, lo si potrà dire con certezza solo a posteriori. Intanto, non sopravvalutiamo le capacità degli analisti a riconoscerla in anticipo.
Questo podcast è stato pubblicato il 15.11.2021 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Plusvalore
Un cambiamento nel nostro mercato immobiliare
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Marco Salvi
In aumento lo sfitto – ma è un problema?
PlusvaloreUn cambiamento nel nostro mercato immobiliare
Da qualche anno è in forte aumento il numero di appartamenti e case vuote: il famigerato sfitto. Questo andamento si osserva sia a livello regionale che nazionale: in Ticino, a metà 2020, poco meno di un appartamento su 35 era vuoto; in Svizzera quasi uno su 50. Bisogna risalire alla metà degli anni Settanta per ritrovare livelli di sfitto analoghi. Ma mentre la relativa abbondanza di abitazioni vuote era in passato il contraccolpo di recessioni e crisi economiche, durante lo scorso decennio lo sfitto è andato a mano a mano crescendo nonostante una situazione congiunturale piuttosto favorevole. Come mai?
Come per molti altri fenomeni economici recenti anche l’aumento dello sfitto è una conseguenza più o meno diretta dei bassi tassi d’interesse, o più precisamente dell’abbondanza di risparmio che ha caratterizzato gli ultimi decenni. La disponibilità di capitale a buon mercato non solo ha favorito la costruzione di nuove abitazioni, ma ha anche diminuito per i proprietari i costi di opportunità legati allo sfitto. Insomma, quando il capitale è abbondante lo si può anche «sprecare», utilizzandolo al di sotto della capacità massima.
Meno convincente è invece la tesi secondo la quale l’esubero di alloggi sarebbe dovuto a un comportamento poco razionale di investitori istituzionali alle prese con una carenza di opportunità d’investimento alternative. Certo, è vero che sul mercato svizzero casse pensioni, assicurazioni e società immobiliari hanno aumentato le proprie quote di mercato. Se il risparmio, prima di essere trasformato in mattone, transita sempre più dalle casse pensioni, lo si deve anche alla politica monetaria macroprudenziale di Banca Nazionale Svizzera e FINMA. Infatti, nonostante tassi ipotecari bassissimi, i piccoli investitori privati faticano a trovare finanziamenti adeguati a causa del forte inasprimento della regolamentazione in materia di prestiti ipotecari. E sono obbligati di lasciare il terreno agli investitori istituzionali.
Ma lo sfitto, va ricordato, ha anche i suoi lati positivi. Ad approfittarne di più sono gli inquilini – pur sempre la maggioranza della popolazione svizzera. Gli affitti dei nuovi appartamenti sono ormai in calo da quattro anni a livello nazionale. E in molte regioni, tra le quali il Ticino, chi oggi cerca casa può offrirsi il lusso di scegliere tra un’offerta variegata. Una vera rarità per il nostro mercato immobiliare che nel passato spesso aveva sorriso soprattutto a chi la casa già ce l’ha.
Questo podcast è stato pubblicato il 22.03.2021 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Plusvalore
Le forze della concorrenza costringono anche gli innovatori
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Marco Salvi
A chi approfitta la Regina degli scacchi?
PlusvaloreLe forze della concorrenza costringono anche gli innovatori
Qualche anno fa erano in pochi a scommettere sul futuro degli scacchi. Vittima collaterale della fine della guerra fredda per gli uni; gioco reso obsoleto dal progresso tecnologico per gli altri, gli scacchi sembravano oramai in lenta via di estinzione. Dimenticato dai media e abbandonato dagli sponsor, il nobil giuoco faticava a adattarsi ai nuovi usi sociali del tempo libero.
O almeno così sembrava, finché il lockdown e una serie TV di successo non lo hanno bruscamente fatto tornare di moda. Uscita su Netflix a ottobre del 2020, La regina degli scacchi è diventata un cult in pochissimo tempo, registrando visualizzazioni da record. A fine anno la serie era tra le più gettonate in ben 92 paesi.
Questo successo ha avuto un effetto trainante su tutto l’ecosistema scacchistico. E non parlo solo delle vendite di scacchiere, introvabili lo scorso Natale. Chess.com, la principale piattaforma online al mondo, ha registrato da ottobre più di sei milioni di nuovi utenti. Gli scacchi sono attualmente la tendenza più in crescita nel settore del gaming, tanto che su Twitch, la piattaforma di streaming di videogiochi di proprietà di Amazon, alcune partite hanno recentemente attirato centinaia di migliaia di spettatori in diretta.
Un gioco centenario, rilanciato in versione online da un’unica serie TV? Dietro al nuovo boom degli scacchi si cela anche un insegnamento economico importante: gli imprenditori-innovatori spesso generano profitti ben in eccesso di quelli che riescono direttamente a monetizzare per il proprio tornaconto.
Questo è particolarmente vero per quanto riguarda il progresso tecnologico. Come stimato alcuni anni fa da William Nordhaus, premio Nobel di economia nel 2018, la parte del plusvalore catturata dai produttori-innovatori è assai modesta, in media attorno al due percento. In altre parole, Nordhaus stima che il 98 percento dei benefici sociali (valutati in termini di maggior produttività) del progresso tecnologico non vengono appropriati direttamente da chi ne è all’origine. Le forze della concorrenza costringono anche gli innovatori di maggior successo a versare gran parte dei benefici delle loro innovazioni sotto forma di riduzione dei prezzi, espansione della produzione e miglioramenti della qualità.
Allo stesso modo, mentre la Regina degli Scacchi è riuscita a rinvigorire l’interesse per un gioco centenario, saranno gli streamer di Twitch e le piattaforme di gioco online ad approfittarne – anche per il piacere di noi giocatori.
Questo podcast è stato pubblicato il 08.03.2021 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Il vaccino anti-Covid è anche una vittoria dei mercati
Plusvalore
L’impatto positivo della globalizzazione nella lotta contro la pandemia
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Marco Salvi
Il vaccino anti-Covid è anche una vittoria dei mercati
PlusvaloreL’impatto positivo della globalizzazione nella lotta contro la pandemia
Nelle ultime settimane, due società di biotecnologia, la statunitense Moderna e la tedesca BioNtech (quest’ultima in collaborazione con il gigante farmaceutico americano Pfizer)hanno annunciato risultati incoraggianti riguardante l’efficacia dei loro vaccini contro il Covid-19, vaccini attualmente in fase avanzata di sviluppo. Certo, è ancora troppo presto per dichiarare vittorianella lotta contro la pandemia e per celebrare trionfi, proprio mentrein Svizzera e in altri paesi si registra un numero record di decessi da Covid.Eppure, la storia di questi due vaccini illustra in modo positivo alcuni concetti economici che alle nostre latitudini troppo spesso vengono trattati unicamente in chiave critica.
La globalizzazione dapprima. Questo vaccino ne è per molti versi unesempio particolarmente emblematico: ricerca e sviluppo negli Stati Uniti e in Germania, produzione che avverrà in parte in Svizzera, test clinici per misurarne l’efficacia e valutarne i rischi svolti in mezzo mondo. E la globalizzazione va qui di pari passo conl’immigrazione: I fondatori della BioNtech, UğurŞahin e Özlem Türeci, sono una coppia di migranti turchi. Il padre di Şahinera un Gastarbeiter, operaio della Ford. E immigrato lo eragià il fondatore della Pfizer, Karl Pfizer, che – quasi due secoli fa –aveva lasciato il Baden-Württenberg per Brooklyn.
Ilsuccesso del vaccino è però anche quello dei mercati, e più particolarmente del «venture capital», l’apporto di capitale per finanziare l’avvio di attività insettori ad alto potenziale– ma anche ad alto rischio. Sia BioNTech che Modernapuntavano da oramai un decennio su unatecnologia genetica che a lungo ha suscitato speranze enormi, ma che finora si era scontrata con ostacoli biologici insormontabili. Tanto che dallasua fondazione, avvenuta nel 2010, a oggi Moderna non ha commercializzato un solo prodotto, accumulando perdite pari a un miliardo e mezzo di dollari.
Ciononostante,al momento dell’entrata in borsa, avvenuta nel 2018, Modernaera stata valutata a ben 7,5 miliardi di dollari. Ciò aveva portati alcuni critici del «venture capital» – tra i quali troviamo anche l’influente economista Mariana Mazzucato – a farne un ennesimosimbolodegli eccessi del capitalismo. Oggiinvece il lungo fiato degli investitori si rivela lungimirante e la loro pazienza giustamente ripagata.Se davveroil mercato dei capitali fosse orientato verso guadagni a corto termine, il settore delle biotecnologie non esisterebbe nemmeno.
Questo podcast è stato pubblicato il 23.11.2020 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.