Come vuole la tradizione, anche questo primo maggio è stato un momento di discorsi, manifestazioni più o meno pacifiche e l’occasione per riflettere sulle condizioni del partenariato sociale. Quest’ultimo è certamente un elemento importante del nostro benessere. Caratteristica saliente del modello elvetico di partenariato sono le negoziazioni bilaterali: le condizioni di lavoro di un settore vengono discusse direttamente tra lavoratori e datori di lavoro, spesso a livello regionale e senza l’intervento dello stato. Questo modello quasi secolare ha contribuito a mantenere la stabilità delle relazioni di lavoro.
Le sfide, però, non mancano. Anche il modello svizzero deve adeguarsi agli importanti cambiamenti strutturali che si osservano sul mercato del lavoro. Mentre nel 1960 il 29% della forza lavoro era attiva in un sindacato, nel 2020 questa proporzione era solo del 13%, una diminuzione principalmente dovuta al declino relativo dell’industria e alla parallela terziarizzazione dell’economia.
Ciononostante, i sindacati svizzeri sono riusciti a mantenere – se non addirittura rafforzare – il loro influsso sulla politica del lavoro. Ciò è dovuto principalmente all’importanza crescente dei contratti collettivi di lavoro (CCL), e soprattutto del ricorso sempre più frequente all’obbligatorietà generale. Questo strumento permette di estendere il campo di applicazione di un CCL a tutti i datori di lavoro di un settore in un cantone, obbligando tutte le ditte del ramo a rispettarne le disposizioni centrali, ad esempio i minimi salariali.
Così il numero di lavoratori sottoposti a un CCL è aumentato di quasi 850 000 unità tra il 1999 e il 2018, di cui circa 800 000 sono da mettere sul conto dell’obbligatorietà generale. Il fenomeno non si limita alle regioni di confine come il Ticino, con una parte importante di lavoratori frontalieri. Solo nel cantone di Zurigo, sono più di 40 i CCL in vigore dichiarati di portata generale.
Per i sindacati si tratta di evitare così il famigerato «dumping» salariale. Ma vi è un rovescio alla medaglia. Questo strumento, se abusato, può diminuire fortemente la concorrenza tra imprese, impedendo per esempio a nuove ditte di entrare sul mercato. Così facendo, si favoriscono le imprese più grandi, già stabilite, e generalmente meno innovative – il che va a tutto scapito di consumatori (che devono sopportare prezzi più elevati) e della concorrenzialità internazionale della nostra economia.
I sindacati svizzeri mantengono imperterriti l’obiettivo di ampliare la copertura dei CCL, e vogliono ridurre ulteriormente gli ostacoli alla dichiarazione di applicabilità generale. In ciò trovano spesso porte aperte negli uffici cantonali del lavoro e negli esecutivi cantonali. Certo, il modello di partenariato sociale elvetico rimane superiore ai diktat statali ed è preferibile a salari minimi nazionali o cantonali. Tuttavia, esso non va nemmeno strapazzato.
Questo podcast è stato pubblicato il 02.05.2022 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Plusvalore, Podcast
Se le stime dell’Ufficio Federale di Statistica sono corrette, nel 2018 il livello dei salari è cresciuto in media del 0,5 percento in Svizzera – quindi meno dell’inflazione, la quale si è attestata l’anno scorso al 0,9 percento. Lo stesso fenomeno si era già verificato nel 2017. Detto in parole…
Se le stime dell’Ufficio Federale di Statistica sono corrette, nel 2018 il livello dei salari è cresciuto in media del 0,5 percento in Svizzera – quindi meno dell’inflazione, la quale si è attestata l’anno scorso al 0,9 percento. Lo stesso fenomeno si era già verificato nel 2017. Detto in parole povere (è il caso dirlo?), i salari in Svizzera sono diminuiti per la seconda volta consecutiva. Per l’Unione Sindacale Svizzera (USS) si tratta di un’evoluzione preoccupante. Dal canto loro, i rappresentanti padronali fanno valere l’obbligo di aumentare gli investimenti, da tempo posposti.
L’andamento della produttività
Ma come giudicare in modo oggettivo l’evoluzione degli stipendi a livello di un paese? Prima di tutto serve mantenere una visione d’insieme. Contingenze (come ad esempio il rialzo repentino dei prezzi del petrolio) possono incidere a corto termine sull’inflazione e quindi sul potere d’acquisto dei salari. Se consideriamo il periodo dal 2009 a questa parte, notiamo invece che i salari reali in Svizzera sono cresciuti in media dell’uno percento all’anno; una crescita tutto sommato robusta se si considera che questo periodo include sia la crisi finanziaria che gli anni del franco forte.
Ancora più pertinente è però il raffronto con l’andamento della produttività. A lungo termine gli aumenti salariali dovrebbero corrispondere a quelli della produttività del lavoro. Infatti, se i salari crescono più velocemente, la parte del reddito totale che va a i lavoratori cresce a scapito dei margini delle imprese, diminuendone la capacità di investimento. Ciò, prima o poi, avrà ripercussioni anche sull’impiego.
Ebbene, negli ultimi dieci anni gli aumenti salariali in Svizzera sono stati quasi sempre superiori a quelli della produttività, a tal punto che la parte dei salari nel PIL da noi è in aumento, mentre negli Stati Uniti e in molti altri paesi ricchi essa ha perso terreno rispetto ai redditi del capitale. Difficile individuare le cause esatte di questa anomalia elvetica. Il rafforzamento repentino del franco ha causato una certa perdita di competitività della nostra industria di esportazione, obbligando molte imprese a rosicare sui profitti.
Comunque sia, alla luce dell’evoluzione molto modesta della produttività, quella dei salari è stata a lungo ragguardevole. A conti fatti, una correzione era inevitabile.
Produttività del lavoro
Nel 2018 i salari salari reali sono scesi quest’anno in Svizzera nei comparti coperti da contratti collettivi di lavoro (CCL): colpa dell’inflazione, che ha divorato gli aumenti concordati dalle parti sociali. Stando ai dati diffusi stamane dall’Ufficio federale di statistica (UST), i rappresentati degli stipendiati e dei datori di lavoro si sono intesi per il 2018 su aumenti nominali dello 0,9% per i salari effettivi e dello 0,5% per quelli minimi negli ambiti dei principali CCL, ovvero quelli che interessano almeno 1500 persone. La previsione per il rincaro è però del +1%: questo significa che gli stipendi reali nei comparti convenzionali dovrebbero diminuire dello 0,1%.
Questo podcast è stato pubblicato il 28.1.2019 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.