Benché la Svizzera non sia membro dell’UE, la nostra economia è molto integrata a quella dell’Unione. Secondo uno studio del Centro di ricerca congiunturale del Politecnico di Zurigo di qualche anno fa, la Svizzera sarebbe più integrata al mercato interno UE della maggioranza degli stati membri stessi, Italia, Francia e Germania comprese. Se si considerano gli scambi commerciali, il movimento di capitali e la migrazione, solo Belgio e Irlanda avrebbero un grado di interconnessione ancora maggiore.
La decisione del Consiglio Federale a fine maggio di interrompere i negoziati sull’Accordo quadro istituzionale – preferendo puntare sullo status quo – potrebbe portare a un allentamento significativo di questi rapporti? Considerato che in termini di regolamentazione il mercato interno europeo continua ad evolvere e che, secondo l’attuale dottrina di Bruxelles, senza un Accordo quadro istituzionale gli accordi bilaterali attuali non saranno aggiornati, il pericolo sembra più che reale.
Le prime crepe si sono già prontamente manifestate durante l’estate. Da fine giugno la Svizzera viene considerata come paese terzo a livello di ricerca scientifica, con conseguenze dirette per le collaborazioni più prestigiose che non saranno più finanziate da fondi europei. Altro effetto immediato: l’accesso dei prodotti medtech svizzeri al mercato interno dell’unione è diventato più difficile e più costoso, mentre rimane irrisolto il contenzioso riguardo alla riconoscenza borsistica.
Altre gatte da pelare sono dietro all’angolo. L’UE può decidere se le leggi sulla protezione dei dati all’estero sono riconosciute come equivalenti e se quindi non siano necessarie ulteriori misure di protezione per i flussi di dati transfrontalieri. La legge svizzera sulla protezione dei dati è stata classificata come adeguata dall’UE nel lontano 2000. Resta tutto da vedere se l’UE continuerà a riconoscere la legge svizzera come equivalente. Nel caso contrario, le imprese svizzere potrebbero vedersi vietata l’elaborazione dei dati relativi ai clienti residenti nell’Unione.
Incertezze aleggiano pure sul rinnovo di accordi sugli ostacoli tecnici al commercio, sui trasporti aerei e terrestri e sulla cooperazione in materia di facilitazione e sicurezza doganali. Nessuno di questi contenziosi ha di per sé la capacità di rimettere in questione in modo fondamentale le relazioni economiche tra la Svizzera e l’UE. Ma si sa, si può anche morire di mille piccole ferite.
Questo podcast è stato pubblicato il 06.09.2021 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Plusvalore, Podcast
La Svizzera e l’Unione europea stanno negoziando ormai da cinque anni l’assetto futuro della loro relazione bilaterale. Il motivo di queste trattative, anche se a prima vista astratto, è di grande importanza concreta per il nostro paese. I rapporti stabiliti finora hanno il difetto di essere statici. Non esiste un…
La Svizzera e l’Unione europea stanno negoziando ormai da cinque anni l’assetto futuro della loro relazione bilaterale. Il motivo di queste trattative, anche se a prima vista astratto, è di grande importanza concreta per il nostro paese. I rapporti stabiliti finora hanno il difetto di essere statici. Non esiste un meccanismo che permetta di ridurre le divergenze tra il diritto svizzero e quello europeo; e queste si accumulano con il passare del tempo. Da qualche settimana il risultato dei negoziati è noto: esso prevede un nuovo meccanismo per risolvere le differenze che potrebbero affiorare in cinque accordi, fra i quali quello chiave sulla libera circolazione delle persone.Il principale punto di contesa non riguarda però questo meccanismo. A far parlare in Svizzera sono soprattutto le modifiche previste alle misure di accompagnamento e il loro presunto impatto sul livello dei salari elvetici.
La portata reale delle modifiche
Secondo i sindacati, queste misure sarebbero sacrosante e non vanno ritoccate nemmeno nei loro complessi (e burocratici) dettagli applicativi.Ma qual è la portata reale delle modifiche discusse? Esse riguardando principalmente le norme che regolano i lavoratori distaccati in provenienza dell’UE. Nel 2017 sono stati registrati più di 300’000 soggiorni brevi, un numero a prima vista elevato, che va però subito messo nella giusta prospettiva. Nell’UE infatti, sono consentiti distacchi fino a un anno, in Svizzera solo fino a 90 giorni. Di conseguenza, la durata media di un distacco nell’UE è di circa tre volte più lunga che da noi.
Se si tiene conto della breve durata dei soggiorni in Svizzera, diminuisce fortemente l’importanza complessiva del lavoro distaccato. Nel 2017 i distaccati hanno fornito 9 milioni di ore lavorate, pari a 28’000 posti di lavoro a tempo pieno. Per intendersi: ciò equivale più o meno all’organico delle FFS – ovvero a nemmeno l’un percento degli occupati. Nessuno sostiene seriamente che i salari dei collaboratori delle FFS possano influire sulla struttura salariale a livello nazionale.
Il distacco completa l’offerta di lavoro tradizionale
Allo stesso modo, l’impatto del lavoro distaccato sui salari svizzeri – fatta forse eccezione per qualche settore in Ticino, dove questo tipo di lavoro è concentrato – non può che essere marginale. Del resto, l’evoluzione del numero di distaccati in Svizzera non lascia intravvedere una sostituzione della manodopera autoctona. Al contrario, il maggior numero di distaccati in provenienza dell’UE è sempre stato accompagnato da un aumento significativo dell’occupazione dei residenti svizzeri. A riprova che il lavoro distaccato completa l’offerta di lavoro tradizionale, ma non la sostituisce.
Questo podcast è stato pubblicato il 14.1.2019 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.