Plusvalore
Un sorprendente rilievo dell’Ufficio federale di Statistica
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Marco Salvi
La povertà non si può ridurre a un solo numero
PlusvaloreUn sorprendente rilievo dell’Ufficio federale di Statistica
Qualche settimana fa, un rilievo dell’Ufficio federale di Statistica mi ha sconcertato: in Svizzera, nel 2019, ben il 20% della popolazione non poteva permettersi una spesa imprevista di 2500 franchi. A giudicare dalle numerose reazioni indignate sui social media, non ero il solo a trovare questo fatto sorprendente: ma com’è possibile che nella ricca Svizzera ciò sia sufficiente a mettere in difficoltà finanziarie un quinto della popolazione?
Prima di svelare «l’inghippo», vengo subito alle conclusioni: la povertà è un fenomeno complesso e sfaccettato che non si può ridurre a un singolo dato numerico, sconcertante o meno. Gli specialisti lo sanno da tempo, ed è proprio per questo che l’Ufficio federale di Statistica non solo misura la povertà reddituale ma cerca anche di rilevare le cosiddette «deprivazioni materiali», tra le quali appunto la capacità di far fronte a spese impreviste.
Che il reddito spesso non basti a identificare ricchi e poveri lo dimostra la situazione dei pensionati. Mentre il 17% ha un reddito inferiore alla soglia di povertà, appena il 3% giudica la propria situazione finanziaria «poco soddisfacente». Questo divario si spiega in gran parte con la mancata presa in considerazione della situazione patrimoniale dei senior, spesso più favorevole. La statistica della povertà fa ad esempio fatica a valutare precisamente il livello di vita di chi abita nella propria casa.
La situazione è inversa per quanto riguardo le «deprivazioni materiali»: qui sono i giovani sotto i 25 anni a patirne più frequentemente, mentre il loro tasso di povertà reddituale è nella media. Ciò si spiega con il fatto che mentre il sostegno dei genitori al reddito dei giovani viene conteggiato nelle statistiche sulla povertà di reddito, non lo è per quanto riguarda la famigerata domanda sulle spese impreviste, dove anzi si specifica esplicitamente che va escluso l’eventuale sostegno dei famigliari.
Forse, il modo migliore per giudicare della diffusione della povertà in Svizzera rimane il paragone con altri paesi. E qui la situazione è senza dubbio assai favorevole, sia per quanto riguardo il reddito che le deprivazioni materiali. Nel confronto europeo, il tasso di deprivazione materiale in Svizzera è nettamente inferiore alla media e i valori di tutti i paesi limitrofi sono pari o superiori al nostro.
Questo podcast è stato pubblicato il 05.04.2021 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Plusvalore
La domanda di alloggi dipende in modo fondamentale dal livello dei redditi
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Marco Salvi
Prezzi immobiliari: un problema fatto in casa
PlusvaloreLa domanda di alloggi dipende in modo fondamentale dal livello dei redditi
È tempo di vendemmie e votazioni – e si torna a discuteredell’impatto dell’immigrazione sul mercato immobiliare svizzero.A prima vista, il rapporto tra i due sembrerebbe facile da stabilire: dall’entrata in vigore della libera circolazione delle persone tra Svizzera e UEnel 2002, i prezzi delle case sono cresciutiin media del 56%, mentre allo stesso tempo la popolazione residente è aumentata del 17%.
Tuttavia, demografia e immigrazionenon sono i soli fattori a determinare prezzi e affitti. Anzi, l’economia urbana ci insegna che non è tanto il numero di abitanti quanto quello delle famiglie a influenzare la domanda di alloggi –essendo ogni appartamento occupato da una sola economia domestica. E da decenni oramai la crescitadel numero delle famiglie supera quella della popolazione. Dal 2000 ad oggi la dimensione media delle economie domestiche in Svizzera è diminuita del 7% ed è ora inferiore a 2 persone.
La domanda di alloggi dipende anchein modo fondamentale dal livello dei redditi. Studi nazionali e internazionali mostrano che la superficie abitata cresce proporzionalmente al reddito.Insomma, l’immigrazione ha avuto sì un effetto sui prezzi, mal’aumento dei redditi e la diminuzione dei tassi d’interesse hanno avuto un impatto ben più determinante. Secondo una nostra stima recente, se la libera circolazione con l’UE non ci fosse stata,il rincaro dal 2002 dei prezzi delle case in Svizzera sarebbero stato del 49% invece che del 56%:
E gli affitti? Contrariamente ai prezzi delle case, determinati da domanda e offerta, essi sono fortemente regolamentati. Secondo il nostro diritto di locazione, l‘aumento della domanda a cui accennavo prima, non è un motivo valido per rivalutare i canoni locativi. Concretamente, ciò significa che la stragrande maggioranza degli inquilini svizzeri –tutti coloro che negli ultimi anni non hanno traslocato –non ha subito pressioni supplementaria causa dall’immigrazione.
Anzi, parecchi locatarihanno approfittato di riduzioni dell’affitto, compliceil tonfo dei tassi ipotecari. Nel complesso,il peso delle spese abitativenei budget delle famiglie è diminuito dall’introduzione della libera circolazione. Secondo dati dell’Ufficio federale di statistica, mai prima d’ora in questo secolo le famiglie hannodevolutouna parte minore del loro reddito all’alloggio: appena il 14% del reddito lordo in media.
Certamente, nelle grandi cittàla carenza di alloggi si fa sempre sentire. Non è però un fenomeno nuovo: da decenni si fatica a trovare un appartamento al centro di Zurigo o di Ginevra. Questa carenzahapiù a che fare con la politica edilizia delle città (che spesso ostacola la costruzione) che con l’immigrazione dall’UE.
In conclusione, un effetto dell’immigrazione sul mercato immobiliare c’è stato, ma di portata ben più limitata di quanto avanzino i critici della libera circolazione. Nei centri invece, la carenza di alloggi rimane un problema «fatto in casa».
Questo podcast è stato pubblicato il 31.08.2020 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Plusvalore, Podcast
«Quando arriveranno i robot, molti dovranno temere per il loro posto di lavoro – gli ultracinquantenni prima degli altri». Così, per dirla in poche parole, la tesi di che considera automazione e rivoluzione digitale alla pari di minacce per l’umanità. La realtà è però un’altra – anzi l’esatto contrario. I…
«Quando arriveranno i robot, molti dovranno temere per il loro posto di lavoro – gli ultracinquantenni prima degli altri». Così, per dirla in poche parole, la tesi di che considera automazione e rivoluzione digitale alla pari di minacce per l’umanità. La realtà è però un’altra – anzi l’esatto contrario. I robot non cacceranno le persone dal loro posto, ma bensì contribuiranno a colmare la lacuna che l’invecchiamento della popolazione sta lasciando sul mercato del lavoro.
Infatti, al più tardi nel 2025, quando i baby-boomer avranno raggiunto l’età del pensionamento, le imprese svizzere saranno confrontate con una forte penuria di manodopera. Penuria rafforzata dal fatto che relativamente pochi giovani faranno allora il loro ingresso sul mercato del lavoro e l’immigrazione è politicamente impopolare. Ben vengano allora robot, soprattutto se intelligenti, che ci permettano di mantenere livello di produzione e di benessere.
Come recentemente illustrato dagli economisti americani Daron Acemoglu e Pasqual Restrepo, già oggi vi è una forte correlazione tra invecchiamento della popolazione e uso di robot industriali. Non è un caso del resto se Corea, Giappone o Germania, paesi la cui popolazione sta rapidamente invecchiando, hanno la più alta densità di robot industriali al mondo.
Nel frattempo, però, la partecipazione al mercato del lavoro delle persone di mezza età è in forte aumento in tutto il mondo. Mentre i media danno spesso l’impressione che cinquanta e sessantenni abbiano particolari difficoltà a rimanere inseriti nel mercato del lavoro, i dati mostrano un quadro ben diverso. In Svizzera ad esempio, il tasso di partecipazione al lavoro dei 60-64enni è passato dal 64% nel 1996 al 75% di oggi. Nel vecchio Giappone esso sfiora gli 80%. Ma anche in Germania o nei Paesi Bassi, dove fino alla metà degli anni ’90 si mandava in pensionamento anticipato due terzi dei sessantenni, il quadro è cambiato radicalmente. Del resto, uno svizzero su sette lavora oramai oltre l’età legale di pensionamento.
Tutti questi dati servono a chiarire una cosa: i timori di un’imminente “robocalisse” sul mercato del lavoro vanno fondamentalmente rivisti, non da ultimo nell’ottica di una riforma strutturale durevole dell’AVS. Non stiamo assistendo alla fine del lavoro, ma – semmai – all’inizio della grande carenza di manodopera.
Questo podcast è stato pubblicato il 11.3.2019 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
È inarrestabile la dispersione degli insediamenti?
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C’era da aspettarselo: l’iniziativa «contro la dispersione degli insediamenti», la quale in sostanza mirava a limitare le aree costruibili a quelle già oggi definite come tali, era troppo radicale. Ieri è stata bocciata da quasi due terzi dei votanti; un rifiuto che nelle regioni periurbane – dove l’espansione degli insediamenti…
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Marco Salvi
È inarrestabile la dispersione degli insediamenti?
C’era da aspettarselo: l’iniziativa «contro la dispersione degli insediamenti», la quale in sostanza mirava a limitare le aree costruibili a quelle già oggi definite come tali, era troppo radicale. Ieri è stata bocciata da quasi due terzi dei votanti; un rifiuto che nelle regioni periurbane – dove l’espansione degli insediamenti è maggiormente percettibile – è stato ancora più netto.
I fattori sono di natura economica
Ora, secondo i politici, sia quelli favorevoli che quelli contrari all’iniziativa, bisognerà applicare in modo diligente l’attuale legge sulla pianificazione del territorio, ancora in fase di rodaggio; una legge che si propone di «densificare» le zone già costruite. È una posizione comprensibile. I fattori che però più incidono sull’espansione degli insediamenti sono di tipo economico, e non facilmente domabili dalla politica.
Diminuzione dell’agricoltura
E di che fattori si tratta? Il primo riguarda l’inesorabile declino dell’agricoltura. Se un secolo fa non si poteva fare a meno di coltivare ogni appezzamento disponibile, la meccanizzazione, l’aumento della produttività e la scomparsa di gran parte delle aziende agricole hanno fatto crollare la domanda di terreno agricolo, liberando molte superfici per l’edificazione. Difficile immaginare un cambiamento repentino di questa dinamica secolare.
La crescita demografica
Il secondo fattore ad incidere sull’edificazione del territorio è, ovviamente, la crescita demografica. L’aumento della popolazione ha un effetto direttamente proporzionale sulla domanda residenziale e – fino ad ora – anche su quella di terreni. Lo stesso vale per la crescita economica: si stima che la domanda residenziale delle famiglie cresce di pari passo con il reddito. In Svizzera, un aumento del reddito di due percento si traduce in un aumento della superfice delle abitazioni di un metro quadro per occupante.
Ma è stato soprattutto la riduzione dei costi della mobilità, sia quella pubblica che privata, ha favorire la progressiva espansione delle aree di insediamento, promuovendo l’attrattivà relativa della periferia rispetto ai centri. Oggi, né i trasporti pubblici, fortemente sovvenzionati, né il traffico automobilistico coprono i propri costi. Se si vorrà limitare a lungo termine una dispersione eccessiva degli insediamenti, evitando però interventi drastici come quelli proposti dall’iniziativa (e senza cadere nella trappola della decrescita e dalla riduzione «volontaria» dei redditi), converrà agire in modo prioritario sulla leva della mobilità.
Questo podcast è stato pubblicato il 11.2.2019 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.