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Un mercato del lavoro flessibile può assorbire i flussi di rifugiati dall’Ucraina
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Marco Salvi
Lasciateli venire – e lavorare
PlusvaloreUn mercato del lavoro flessibile può assorbire i flussi di rifugiati dall’Ucraina
Negli ultimi giorni già più di un milione di persone sono fuggite dall’Ucraina, soprattutto verso la Polonia dove la maggior parte di loro ha trovato rifugio in alloggi privati. L’ONU si aspetta fino a quattro milioni di rifugiati, ma potrebbero essere ancora di più.
In tutta Europa lo slancio di solidarietà è notevole. In Svizzera, i rifugiati provenienti dall’Ucraina verranno ammessi rapidamente, senza procedure d’asilo, fino a quando il bisogno di protezione cesserà. Probabilmente verrà loro concesso il permesso S (per persone bisognose di protezione), permesso che non è mai stato applicato in precedenza.
Questa forma di permesso di soggiorno prevede la possibilità di esercitare un’attività lavorativa. Ma ogni assunzione richiederà l’autorizzazione preventiva delle autorità. In concreto, ciò significa che un rifugiato potrà essere assunto solo se non si troveranno cittadini svizzeri (o stranieri già residenti in Svizzera) con qualifiche equivalenti. Inoltre, la mobilità professionale intercantonale sarà ristretta: una volta accettato da un cantone, il rifugiato non potrà lavorare in un altro. Sarà proibito, infine, il lavoro indipendente.
Con questo quadro regolamentare stretto si vuole, da un lato, sostenere l’indipendenza dei rifugiati; dall’altro, si tratta di evitare di mettere sotto pressione i salari dei residenti, specialmente di quelli meno qualificati.
Ma queste paure sono fondate? I rifugiati davvero sottraggono domanda di lavoro dai residenti? Molti economisti hanno indagato questa domanda, primo fra tutti il recente premio Nobel per l’economia, David Card. Card studiò l’impatto dell’arrivo improvviso nel 1980 di 60 000 rifugiati cubani sul mercato del lavoro di Miami. Questo e altri episodi (come l’afflusso di quattro milioni di rifugiati siriani in Turchia) permettono di analizzare empiricamente l’impatto dei flussi migratori sul mercato del lavoro.
Nel complesso, ci sono poche prove di una sostituzione della mano d’opera indigena con quella estera. Gli studi concludono che un aumento di 10 punti percentuali della quota di immigrati nella forza lavoro cambia il reddito dei nativi da -2% a +2% – insomma, di poco o niente. I mercati del lavoro dei paesi di destinazione sono abbastanza flessibili per assorbire i nuovi arrivati, soprattutto se viene dato loro il tempo necessario per farlo.
Finora la Svizzera non è stata in grado di eccellere nell’integrazione dei rifugiati sul mercato del lavoro. Il tasso di occupazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati è di circa il 40% cinque anni dopo il loro arrivo. Ciò mette la Svizzera nel mezzo del gruppo in un confronto europeo. In questo contesto, l’introduzione dello status S e la relativa rapida integrazione dei rifugiati nel mercato del lavoro svizzero sono da accogliere con favore. Lasciamoli venire, sì – ma lasciamoli anche lavorare.
Questo podcast è stato pubblicato il 7.3.2022 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
Il vaccino anti-Covid è anche una vittoria dei mercati
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L’impatto positivo della globalizzazione nella lotta contro la pandemia
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Marco Salvi
Il vaccino anti-Covid è anche una vittoria dei mercati
PlusvaloreL’impatto positivo della globalizzazione nella lotta contro la pandemia
Nelle ultime settimane, due società di biotecnologia, la statunitense Moderna e la tedesca BioNtech (quest’ultima in collaborazione con il gigante farmaceutico americano Pfizer)hanno annunciato risultati incoraggianti riguardante l’efficacia dei loro vaccini contro il Covid-19, vaccini attualmente in fase avanzata di sviluppo. Certo, è ancora troppo presto per dichiarare vittorianella lotta contro la pandemia e per celebrare trionfi, proprio mentrein Svizzera e in altri paesi si registra un numero record di decessi da Covid.Eppure, la storia di questi due vaccini illustra in modo positivo alcuni concetti economici che alle nostre latitudini troppo spesso vengono trattati unicamente in chiave critica.
La globalizzazione dapprima. Questo vaccino ne è per molti versi unesempio particolarmente emblematico: ricerca e sviluppo negli Stati Uniti e in Germania, produzione che avverrà in parte in Svizzera, test clinici per misurarne l’efficacia e valutarne i rischi svolti in mezzo mondo. E la globalizzazione va qui di pari passo conl’immigrazione: I fondatori della BioNtech, UğurŞahin e Özlem Türeci, sono una coppia di migranti turchi. Il padre di Şahinera un Gastarbeiter, operaio della Ford. E immigrato lo eragià il fondatore della Pfizer, Karl Pfizer, che – quasi due secoli fa –aveva lasciato il Baden-Württenberg per Brooklyn.
Ilsuccesso del vaccino è però anche quello dei mercati, e più particolarmente del «venture capital», l’apporto di capitale per finanziare l’avvio di attività insettori ad alto potenziale– ma anche ad alto rischio. Sia BioNTech che Modernapuntavano da oramai un decennio su unatecnologia genetica che a lungo ha suscitato speranze enormi, ma che finora si era scontrata con ostacoli biologici insormontabili. Tanto che dallasua fondazione, avvenuta nel 2010, a oggi Moderna non ha commercializzato un solo prodotto, accumulando perdite pari a un miliardo e mezzo di dollari.
Ciononostante,al momento dell’entrata in borsa, avvenuta nel 2018, Modernaera stata valutata a ben 7,5 miliardi di dollari. Ciò aveva portati alcuni critici del «venture capital» – tra i quali troviamo anche l’influente economista Mariana Mazzucato – a farne un ennesimosimbolodegli eccessi del capitalismo. Oggiinvece il lungo fiato degli investitori si rivela lungimirante e la loro pazienza giustamente ripagata.Se davveroil mercato dei capitali fosse orientato verso guadagni a corto termine, il settore delle biotecnologie non esisterebbe nemmeno.
Questo podcast è stato pubblicato il 23.11.2020 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
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La domanda di alloggi dipende in modo fondamentale dal livello dei redditi
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Marco Salvi
Prezzi immobiliari: un problema fatto in casa
PlusvaloreLa domanda di alloggi dipende in modo fondamentale dal livello dei redditi
È tempo di vendemmie e votazioni – e si torna a discuteredell’impatto dell’immigrazione sul mercato immobiliare svizzero.A prima vista, il rapporto tra i due sembrerebbe facile da stabilire: dall’entrata in vigore della libera circolazione delle persone tra Svizzera e UEnel 2002, i prezzi delle case sono cresciutiin media del 56%, mentre allo stesso tempo la popolazione residente è aumentata del 17%.
Tuttavia, demografia e immigrazionenon sono i soli fattori a determinare prezzi e affitti. Anzi, l’economia urbana ci insegna che non è tanto il numero di abitanti quanto quello delle famiglie a influenzare la domanda di alloggi –essendo ogni appartamento occupato da una sola economia domestica. E da decenni oramai la crescitadel numero delle famiglie supera quella della popolazione. Dal 2000 ad oggi la dimensione media delle economie domestiche in Svizzera è diminuita del 7% ed è ora inferiore a 2 persone.
La domanda di alloggi dipende anchein modo fondamentale dal livello dei redditi. Studi nazionali e internazionali mostrano che la superficie abitata cresce proporzionalmente al reddito.Insomma, l’immigrazione ha avuto sì un effetto sui prezzi, mal’aumento dei redditi e la diminuzione dei tassi d’interesse hanno avuto un impatto ben più determinante. Secondo una nostra stima recente, se la libera circolazione con l’UE non ci fosse stata,il rincaro dal 2002 dei prezzi delle case in Svizzera sarebbero stato del 49% invece che del 56%:
E gli affitti? Contrariamente ai prezzi delle case, determinati da domanda e offerta, essi sono fortemente regolamentati. Secondo il nostro diritto di locazione, l‘aumento della domanda a cui accennavo prima, non è un motivo valido per rivalutare i canoni locativi. Concretamente, ciò significa che la stragrande maggioranza degli inquilini svizzeri –tutti coloro che negli ultimi anni non hanno traslocato –non ha subito pressioni supplementaria causa dall’immigrazione.
Anzi, parecchi locatarihanno approfittato di riduzioni dell’affitto, compliceil tonfo dei tassi ipotecari. Nel complesso,il peso delle spese abitativenei budget delle famiglie è diminuito dall’introduzione della libera circolazione. Secondo dati dell’Ufficio federale di statistica, mai prima d’ora in questo secolo le famiglie hannodevolutouna parte minore del loro reddito all’alloggio: appena il 14% del reddito lordo in media.
Certamente, nelle grandi cittàla carenza di alloggi si fa sempre sentire. Non è però un fenomeno nuovo: da decenni si fatica a trovare un appartamento al centro di Zurigo o di Ginevra. Questa carenzahapiù a che fare con la politica edilizia delle città (che spesso ostacola la costruzione) che con l’immigrazione dall’UE.
In conclusione, un effetto dell’immigrazione sul mercato immobiliare c’è stato, ma di portata ben più limitata di quanto avanzino i critici della libera circolazione. Nei centri invece, la carenza di alloggi rimane un problema «fatto in casa».
Questo podcast è stato pubblicato il 31.08.2020 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.
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La settimana scorsa, il governo inglese ha annunciato la sua intenzione di introdurre un sistema a punti per regolare l’immigrazione. L’obbiettivo è quello di attirare lavoratori qualificati o, in altre parole, di limitare l’entrata di attivi meno qualificati. In futuro, i lavoratori provenienti dall’estero che parlano un buon inglese e…
La settimana scorsa, il governo inglese ha annunciato la sua intenzione di introdurre un sistema a punti per regolare l’immigrazione. L’obbiettivo è quello di attirare lavoratori qualificati o, in altre parole, di limitare l’entrata di attivi meno qualificati. In futuro, i lavoratori provenienti dall’estero che parlano un buon inglese e possono dimostrare di avere un’offerta per un posto ben retribuito riceveranno 50 dei necessari 70 punti. Altri punti verranno assegnati a seconda delle competenze e della carenza di manodopera nel settore d’attività. Attualmente, nel Regno Unito vi sarebbe scarsità di ingegneri civili, medici generalisti, psicologi e ballerine.
Se verrà introdotto, il Regno Unito non sarà il solo paese con un sistema a punti. Già il Canada, l’Australia o la Nuova Zelanda conoscono sistemi simili, e parecchi economisti ne hanno analizzato le conseguenze. Il loro giudizio è globalmente negativo. Come mai?
Di primo acchito, un sistema a punti potrebbe sembrare un metodo razionale e obbiettivo per selezionare i migranti adatti – con tutta l’apparenza razionale e obbiettiva di una tabella Excel. Il problema è che il mercato del lavoro è ben più complesso di quanto si possa riassumere in una formuletta. Il lavoro degli attivi meno qualificati in genere è complementare a quello dei maggiormente qualificati. Regolare il numero degli uni ha un effetto sull’impiego degli altri, rischiando di frenare l’intera economia, con un impatto sul benessere di tutti.
Anche requisiti in apparenza incontestabili, come la conoscenza della lingua, non sono garanti di un esito positivo a lungo termine. Il successo della seconda e terza generazione di immigranti asiatici negli Stati Uniti è stato possibile malgrado la padronanza limitata della lingua da parte della prima generazione. Senza parlare delle pressioni politiche e del lobbying di questo o quel settore per ricevere trattamenti di favore; lobbying che avvantaggia chi dispone di più agganci politici, ad esempio gli agricoltori, ma non necessariamente chi è più produttivo. Tanto più che il sistema inglese non prevede un limite quantitativo alla migrazione, e così rischia di non soddisfare nemmeno l’elettorato «esterofobo». Insomma, meglio lasciare la scelta di chi impiegare nelle imprese alle imprese stesse – e non alle tabelle dei funzionari.
Questo podcast è stato pubblicato il 24.02.2020 nel programma Plusvalore su RSI Rete Due.